Tutto online, il lavoro sparisce: vincono solo i miliardari

imagesNell’era di Internet, la libertà è per pochi: ormai lo ammette anche il compositore Jaron Lanier, pioniere della creatività digitale. Musicista, informatico e imprenditore, Lanier incarna «il tipico prodotto della subcultura di Berkeley, nella quale l’ipermodernità si lega ecletticamente ai linguaggi estetici anni sessanta-settanta, e l’individualismo legittima la piena ricerca del successo e il più spregiudicato utilizzo dei meccanismi della moda», scrive Alessandro Visalli, citando un’intervista di Riccardo Staglianò sul “Venerdì di Repubblica”. «Lanier si è pentito: dopo aver sostenuto per anni che Internet libererà l’uomo, che produrrà un anarcoide e liberato mondo della piena affermazione per tutti, depurato del potere e leggero come le idee, si è accorto che si va nella direzione opposta». Nel suo settore più amato, la musica, «ha visto che tutto cala man mano che il prodotto si diffonde “liberamente”, che le sale da incisione chiudono, i musicisti iniziano a cambiare mestiere, i negozi restano deserti», anche perché ormai con un’iPhone da poche centinaia di euro «si possono ottenere risultati che richiedevano decine di migliaia di euro e il lavoro di molte persone».
Sono nati giganti – cui lo stesso Lanier ha venduto ben tre “start-up”– che impiegano la millesima parte dei lavoratori che erano prima impegnati nei loro settori: anche così le strade si svuotano dei negozi, scrive Visalli su “Tempo Fertile”, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. Secondo alcune ricerche, è a rischio di ulteriore distruzione il 47% dei mestieri attualmente praticati negli Usa e il 40% della forza lavoro. Esempio: «Kodak, che impiegava 140.000 persone, oltre ad un enorme indotto per la distribuzione e commercializzazione di miliardi di pellicole, poi per il loro sviluppo e conservazione, è stata praticamente sostituita dai telefonini, da qualche app e qualche “social”». Un caso limite è Instagram, che impiega appena 13 dipendenti ed è stata appena venduta per un miliardo di dollari (Kodak ne valeva 28 con tutti i suoi stabilimenti). «Le catene di viaggi cedono a Expedia, Orbitz; le librerie ad Amazon; le case editrici a Kindle e al fenomeno dei libri fai-da-te; i traduttori stanno per essere spazzati via da software di traduzione che impiegano le innumerevoli traduzioni esistenti fatte da uomini, per automatizzarle e renderle sempre migliori con l’uso».
Non è tutto: Skype sta per lanciare un servizio di sottotitoli automatico che “farà fuori” gli interpreti (magari insieme a Google Glass); l’istruzione universitaria potrà essere distribuita da Berkeley in tutto il mondo, a decine di milioni di discenti, a prezzi unitari bassissimi; una app (“Uber”) farà fuori i tassisti; altre stanno facendo lo stesso con gli alberghi; arriveranno le Google Car, a sfidare i camionisti; ma la cosa non dovrebbe lasciare tranquilli neppure gli analisti di borsa (“Warren”), i giornalisti, i commercialisti, gli avvocati, gli architetti. «E’ il modello della new economy, “winner takes all”. Ed è basato sullo sfruttamento senza restituzione di valore di una miriade di microcontenuti che sono sommati, resi significativi dall’immensa potenza del “big data”». Questo, continua Visalli, è il punto messo in evidenza da Lanier: il segreto del successo di Google Translate, di Facebook, di Amazon, di You Tube, è che «tutti i contenuti che nelle loro mani diventano oro sono regalati». Cosa resterà? «Sicuramente una élite dotata del capitale culturale, simbolico e informatico per rendersi necessaria nel mondo della iper-rappresentazione che ci si prepara; sono i vincenti che prendono tutto». E poi?
«Qui la cosa si fa difficile», prosegue Visalli. «Una polvere di nicchie di mestieri di cura uno-ad-uno, autoprodotti e inventati; l’apologia dell’individualismo estremo. In mezzo? Se nessun meccanismo pubblico o privato (ma regolato) distribuirà le risorse che salgono ai “vincitori”, garantendo che chi veramente le produce (e non solo chi le rende aggregate, visibili e spendibili) ne abbia di che vivere, avremo un centro deserto». In quel caso, «non avremo neppure i mestieri di cura». Fondamentalmente, aggiunge il blogger, l’economia diventerà «un sistema in cui i beni sono prodotti in modo automatico da una piccolissima parte dei lavoratori». La tendenza è scendere molto sotto il 10%, forse sotto il 5%. Si tratta di lavoratori che “valgono” poco e ppercepiscono stipendi molto bassi. «I contenuti linguistici ed estetici – veicoli identitari e di senso primari – sono il vero veicolo di valore, ma si concentrano in pochissime mani; il resto, la grande parte della società, resterà impegnata in circuiti di auto-cura di reciprocità, poveri dal punto di vista monetario, ricchi da quello sociale e antropologico. Una società che potrebbe ricordare il medioevo».

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Monbiot: di crescita si muore, stiamo esaurendo la Terra

Immaginiamo che nel 3030 avanti Cristo tutte le ricchezze del popolo egiziano potessero entrare in un metro cubo,  e supponiamo  che questa ricchezza sia cresciuta del 4,5% all’anno: quanto sarebbe diventata grande al tempo della battaglia di Azio, tre milleni dopo? Dieci volte il volume delle piramidi? Tutta la sabbia del Sahara? L’Oceano Atlantico? Il volume di tutto il pianeta? Macché. Secondo il banchiere Jeremy Grantham, avremmo avuto bisogno di  2.5 miliardi di miliardi di sistemi solari. «Una volta compreso il significato e le proporzioni di questa conclusione – dice George Monbiot – non dovreste metterci molto ad arrivare alla paradossale posizione che l’unica salvezza sta nel crollo del sistema». Matematico: «Per continuare a far funzionare il sistema attuale dovremmo distruggerci da soli, ma se il sistema non funziona sarà il sistema stesso a  distruggerci: questa è la spirale che abbiamo creato».
Non possiamo certo ignorare il cambiamento climatico, il crollo della biodiversità, l’esaurimento di acqua, suolo, minerali e petrolio. Ma anche se, per miracolo, tutti questi problemi dovessero svanire, scrive Monbiot in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, la semplice regola della “crescita composta” rende comunque impossibile la continuità del sistema. L’attuale crescita economica? E’ un artificio, dovuto all’uso dei combustibili fossili. «Prima che si cominciassero a estrarre grandi quantità di carbone, ogni aumento della produzione industriale coincideva con una flessione della produzione agricola, come avvenne quando il carbone e la forza motore necessari per far espandere l’industria ridussero la quantità di terreno disponibile per la coltivazione di cibo. Ogni rivoluzione industriale ha causato il crollo della situazione precedente, perché la stessa crescita non poteva essere più sostenuta. Ma il carbone ha rotto questo ciclo e ha reso possibile – per qualche centinaio di anni – quel fenomeno che oggi chiamiamo crescita sostenibile».
Secondo Monbiot, a scatenare il progresso (e le sue patologie moderne: guerra totale, concentrazione della ricchezza globale, distruzione del pianeta) non sono stati né il capitalismo né il comunismo: è stato il carbone, seguito dal petrolio e dal gas. Il filo conduttore di questa espansione? L’ideologia della crescita. E ora che si stanno esaurendo le riserve accessibili, «dobbiamo saccheggiare gli angoli più nascosti del pianeta pur di sostenere la nostra proposta impraticabile». Mentre gli scienziati annunciano il crollo della calotta antartica occidentale, il governo ecuadoriano decide di consentire la trivellazione petrolifera del parco nazionale Yasuni. Il povero Ecuador, che ha chiesto 3,6 miliardi di dollari, ha invece ricevuto solo 13 milioni. Risultato: «Petroamazonas, una compagnia con un medagliere pieno di record di distruzione e rovina, ora potrà entrare in uno dei luoghi dove esiste la maggior concentrazione di biodiversità del pianeta, dove si dice che un ettaro di foresta pluviale contenga più specie di quante ne esistano nell’intero continente nordamericano».
Piove sul bagnato: i petrolieri inglesi della Soco sperano di riuscire a penetrare nel Virunga, il più antico parco nazionale africano, in Congo. Il Virunga, sottolinea Monbiot, è una delle ultime roccaforti dei gorilla di montagna e degli okapi, degli scimpanzé e degli elefanti delle foreste. In Gran Bretagna, dove è stato appena idendificato un probabile giacimento di 4.4 miliardi di barili di “shale oil”, «il governo fantastica di trasformare una verdeggiante periferia in un nuovo Delta del Niger: a tal fine sta cambiando le leggi anti-dispersione per consentire la perforazione del terreno senza nessun consenso ma offrendo ricche tangenti alla popolazione del posto». Tutto vano, in ogni caso: «Lo sfruttamento di queste nuove riserve non risolverà comunque niente», dice Monbiot: «Non metteranno fine alla nostra fame di risorse, la esarbeceranno solamente».
Si sta infatti avvicinando il pericolo maggiore: «La traiettoria della crescita composta (scalare) mostra che l’isterilimento del pianeta è appena iniziato. Quando il volume dell’economia globale si espande, in tutto il mondo qualsiasi cosa contenga materiale concentrato, insolito, prezioso, sarà scoperta e sfruttata, le sue risorse saranno estratte e disperse», con buona pace delle ultime meraviglie del mondo. Qualcuno, aggiunge Monbiot, ha provato a risolvere questa “equazione impossibile” con il mito della dematerializzazione, sostenendo cioè che i processi stanno diventando più efficienti e gli oggetti sempre più piccoli. Errore: «Non c’è nessun segnale che questo stia accadendo veramente. La produzione di minerale di ferro è aumentata del 180% in 10 anni. I dati commerciali delle Forest Industries dicono che il consumo di carta globale è ad un livello record e continuerà a crescere». Paradossale: «Se nell’era digitale non riusciamo nemmeno a ridurre il consumo di carta, che speranza possiamo avere per le altre materie prime?».
Sembra che nessuno se ne accorga, ma una superficie sempre più vasta del pianeta viene utilizzata per le estrazioni di materiali che servono a produrre oggetti inutili, merci di lusso o destinate a trasformarsi istantaneamente in rifiuti. «Forse è sorprendente che le nostre fantasie di colonizzare lo spazio – che ci fanno capire che potremmo esportare i problemi invece di risolverli – stanno riemergendo». Secondo il filosofo Michael Rowan, l’inevitabilità della “crescita scalare” significa che, se fosse sostenibile la crescita globale prevista lo scorso anno per il 2014 (3.1%), «anche se miracolosamente riducessino il consumo di materie prime del 90%, ritarderemmo l’inevitabile di solo 75 anni». Morale: «L’efficentamento non serve a nulla se la crescita continua. Il fallimento inevitabile di una società basata sulla crescita e sulla distruzione dei sistemi viventi della Terra sono i fatti che opprimono la nostra esistenza. Come risultato, non se ne parla quasi mai». E’ il tabù del ventunesimo secolo, blindato dalla disinformazione.

579843214Immaginiamo che nel 3030 avanti Cristo tutte le ricchezze del popolo egiziano potessero entrare in un metro cubo,  e supponiamo  che questa ricchezza sia cresciuta del 4,5% all’anno: quanto sarebbe diventata grande al tempo della battaglia di Anzio, tre milleni dopo? Dieci volte il volume delle piramidi? Continua a leggere

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Quale stato di grazia?

di George Monbiot

Una nuova ricerca suggerisce che non sia mai esistito uno stato di grazia. Per la fauna del pianeta siamo sempre stati un disastro.

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Non sono vietati nell’Ue. Due insetticidi causano la scomparsa delle api

apiDosi minime di due insetticidi neonicotinoidi ampiamente diffusi – imidacloprid e clotianidin Continua>

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Def Renzi-Fornero, la stessa droga che ci ha rovinato

flessibilitc3a0«La flessibità non è una cura, ma una droga: un rimedio peggiore del male, che alla lunga stronca il paziente anziché guarirlo». Continua>
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Perché le imprese di fracking usamericane si leccano i baffi sull’Ucraina

Naomi Klein
Tradotto da  Bosque Primario
Editato da  Fausto Giudice Фаусто Джудиче فاوستو جيوديشي

Dai cambiamenti climatici alla Crimea, l’industria del gas naturale è sempre pronta a trovare il modo migliore per sfruttare le crisi per guadagnarci sopra: E’ quello che io chiamo la dottrina d’urto (The shock doctrine). Continua>

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Contrastare la macchina del marketing dell’industria farmaceutica

Farmaci_h_partbPeter Aldhous
I pazienti, non le industrie del farmaco, dovrebbero fornire risposte sui medicinali per avere un quadro reale della loro efficacia. Continua>
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Il ritorno dei terreni agricoli

vendita_terreno_agricolo_serravalle_pistoiese_casalguidi_98623561734481117Cosa sta accadendo in Italia? Sembra che molti proprietari di terreni edificabili stiano chiedendo alle amministrazioni di stralciare le destinazioni delle loro aree così da farle ritornare agricole, Continua>
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La marina Usa prevede già nel 2016 lo scioglimento dei ghiacci dell’artico

Arctic Sunrise among broken floes of Arctic sea ice

The Guardian
Questo cambiamento del passo è da rapportarsi alla velocità e repentinità del riscaldamento globale? Continua>
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Energia, iniziata la grande corsa ai forzieri dell’Artico

20110506034141_IlCircolopolarearticoancoralultimafrontieradelletrivellazioniMentre molte riserve di gas e di petrolio in diverse aree del mondo stanno vivendo il loro rapido declino, si ritiene che l’Artico possegga enormi giacimenti ancora inesplorati. Continua>
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L’individuo non può esistere per società e stato pianificati …


Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il Council on Foreign Relations (Consiglio sulle Relazioni Estere) inizio a fare piani per il mondo post-bellico. Continua>

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Le economie avanzate sono ormai un colossale schema Ponzi?

Economia FONTE: HESCATON.COM

I debiti sovrani battono nuovi record ogni settimana, questo purtroppo è quello che tutti sentiamo periodicamente. L’articolo di oggi è la nostra risposta all’interessante articolo del famoso blog americano Zero Hedge di cui questo è il link: Fonzie Or Ponzi? One Theory On The Limits To Government Debt.

Per chi non avesse voglia di leggerlo, facciamo ora un breve riassunto. Continua>

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Nestlé: stop all’accaparramento d’acqua in Pakistan, la petizione

nestle acqua pakistan

Non è bastato il documentario Bottled Life per fermare l’operato delle multinazionali dell’acqua in bottiglia. Continua>

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Bangladesh, l’ennesima strage di lavoratori

Oltre 380 corpi senza vita sono già stati estratti dalle macerie del Rana Plaza a Savar, nella regione di Dhaka in Bangladesh, crollato mercoledì scorso. Il fatiscente edificio era costituito da otto piani, quasi tutti occupati da aziende tessili con oltre 3000 operai e soprattutto operaie che producevano capi di abbigliamento per grandi marchi occidentali.

di Alessandra Profilio

bangladesh protesta strage rana plazaOltre mille operai tessili hanno perso la vita in Bangladesh dal 2005 a causa di incidenti dovuti alle scarse condizioni di sicurezza. Oltre 380 corpi senza vita sono già stati estratti dalle macerie del Rana Plaza a Savar, Continua>
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