Una boccata d’aria

beach-yogaSe consideriamo che ritmo respiratorio e battito cardiaco sono due parametri essenziali, non solo per la salute fisica ma anche per quella psichica, comprendiamo che il pranayama ha un ruolo di rilievo nella pratica dello yoga, poiché favorisce entrambi.

I polmoni sono ubicati nella parte superiore del tronco, all’interno della cassa toracica, delimitati in basso dal pavimento diaframmatico. Condividono quest’area con il cuore che viene direttamente interessato dall’espansione e contrazione dei polmoni, ricevendo un valido aiuto per promuovere la circolazione del sangue. Risulta evidente che una buona respirazione favorisce, oltre che uno scambio di gas (principalmente anidride carbonica e ossigeno), anche la possibilità che tali gas vengano trasportati dal sangue, per la salute di ogni zona del corpo.

Regolarizzare i flussi in ingresso e in uscita del respiro, e le eventuali pause a polmoni pieni o vuoti, ci consente di interagire con quelle parti di noi, che quando non sono armonizzate, rendono la mente irrequieta, il livello emotivo defatigante, fino a usurpare nel tempo le nostre riserve di energia. Gli asana, senza il corretto atteggiamento respiratorio, scadono in gesti di equilibrismo, contorsionismo o semplici esibizioni atletiche: se, invece, sono praticate con un adeguato uso del respiro, preparano il momento del pranayama.

Tante sono le posizioni che richiamano metaforicamente gli animali e il loro modo di respirare: gli uccelli (per invitarci ad aprire il petto e a un respiro più ampio); i longevi elefanti e le tartarughe (per ricordarci di respirare lentamente); il cammello (per fare scorta di “acqua della vita”). Nella sequenza proposta, possiamo sperimentare a livello anatomico diverse espressioni corporee che favoriscono il respiro, sia espandendo i polmoni nelle diverse direzioni, sia favorendone, con un atteggiamento complementare, lo svuotamento. Per una lettura più metaforica del pranayama, non bisogna infatti  dimenticare che la traduzione di prana non è solo “aria ricca di ossigeno”, ma è anche energia che anima. Nell’essere umano questo “carburante” naturale, oltre a favorire i processi di combustione metabolica, calma la mente e dà alla coscienza vivacità. Forse ci sarà possibile considerare i polmoni non solo una parte meccanica di noi, ma anche il nostro contatto con l’esterno, poichè quando respiriamo apriamo le frontiere tra ciò che sta “fuori” e ciò che risiede “dentro” di noi.

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Altrettanto per il cuore, che in tutte le culture viene associato alla nostra vita più intima e sensibile, nella filosofia yogica è la  zona dove alberga il purusa, “colui che abita la città” (il Sé). Strettamente legate al nostro ritmo respiratorio, sono le diverse emozioni e stati mentali più o meno agitati: arrivare a rallentare il respiro, fino a sospenderlo senza sforzo, porta la coscienza a uno stato di integrazione con quella parte di noi che veglia anche quando dormiamo, facendoci continuare a respirare e rimanere in vita. Questa parte è il “reggitore interno”. Quando la tradizione yoga afferma che più uno yogi ha prana dentro, più la sua condizione psicofisica è ideale, capiremo che intende dire che il prana, ossia ciò che ci anima, è vicino alla nostra anima. “Uno yogi ha forte appetito e buona digestione, è allegro, bello in tutte le membra, ha grande cuore e molta forza ed energia: nel corpo di uno yogi si trova senza dubbio tutto ciò” (Siva-Samhita III, 31).

Fonte

Attorno al respiro

La tecnica e la consapevolezza di Iyengar per una respirazione completa

di Leslie Peters / illustrazione di Lele Lutteri / foto di Victoria Yee

Attorno_al_respiro_apertL’aria fluisce entra nel corpo, ruota, come una girandola, e si espande. Invade ogni spazio, ogni centimetro per poi fer­marsi e unirsi, anche se per pochi istanti, con ciò che ogni individuo racchiude in se stesso. E in un soffio svanire e liberare il grande potere creativo che ognuno porta dentro di sè. E questa liberazione, nello yoga, è conosciuta come Samadhi: un incontro che avviene fra il sè in­dividuale e l’anima universale, in un semplice respiro. Nello Hatha Yo­ga Pradipika, l’antico testo sacro, si legge: “Il respiro è la chiave per l’emancipazione finale.” Quando è eseguito correttamente e quando il praticante è pronto, il pranayama è in grado di fornire un ponte tra il sé individuale e l’anima universale.

In contatto

B.K.S. Iyengar spiega come le tre fasi del respiro nel Pranayama – inspiro (pùraka), ritenzione (antara kumbhaka), ed espirazione (rechaka), ci possono connettere all’anima universale. Durante l’inspirazione, stiamo invitando il prana ad entrare. Secondo il guru, il sé individuale deve, quindi, farsi da parte per lasciare spazio all’anima: ecco che l’energia si epande e la consapevolezza interiore accresce. B.K.S. Iyengar, quando invita a pensare al contatto del respiro con il polmone interno come alla connessione, appunto, tra anima universale e sè individuale. Quando fermiamo con coscienza il flusso del respiro (ritenzione), organizziamo i pensieri della mente e l’esperienza del corpo. La lunghezza della ritenzione varia. Dovrebbe durare solo fino a quando il contenuto (prana) comincia ad allontanarsi dal contenitore (il polmone). Dobbiamo tenere la mente connessa all’esperienza del corpo, per sapere esattamente in che momento l’anima e ilsè iniziano a separarsi l’uno dall’altro. Qui deve iniziare l’espirazione. Sviluppare la capacità di sentire qualcosa di così sottile, richiede una pratica regolare.

Prana e cervello

B.K.S Iyengar ritiene che nella respirazione normale, sia il cervello a iniziare l’azione di inspirazione e tragga energia a se stesso. Ciò lo mantiene in uno stato di tensione e quindi il respiro è più corto. Nel pranayama, invece, il cervello rimane passivo, e sono polmoni, ossa e muscoli del tronco ad avviare l’inspirazione e a trarne beneficio. «Il respiro – dice il guru – deve essere adescato o blandito, come si cattura un cavallo in un campo, non rincorrendolo, ma stando fermi con una mela in mano. Nulla può essere forzato: la ricettività è tutto». Dobbiamo eseguire pranayama con la nostra intelligenza, non con il cervello, sostiene Iyengar. Praticando e regolando il flusso di prana con l’osservazione misurata e la distribuzione del respiro, la mente diventa calma. Quando ciò accade, siamo in grado di portare all’interno l’energia che normalmente usiamo per gestire e relazionarci con il mondo.

Una via per Dhyana

Gli asana, insegna il guru, rendeno il corpo adatto al pranayama, e il pranayama rende la mente adatta alla meditazione. Non si può meditare se il praticante «è sotto stress, ha un corpo debole, polmoni deboli, muscoli rigidi, colonna vertebrale fragile, mente fluttuante, agitata, o timidezza». Il praticante, infatti, dovrebbe già avere raggiunto uno stato rilassato in corpo e mente prima che la meditazione possa accadere. Se eseguito correttamente e senza sforzo, il pranayama rinfresca e riposa il cervello e inonda il corpo con energia vitale. Allevia lo stress e, di conseguenza, ci prepara alla vera meditazione. Iyengar avverte anche che, se in qualsiasi momento durante la pratica del Pranayama si sente dolore alla testa o tensione alle tempie, significa che stai avviando il respiro dal cervello, non dai polmoni. Se ciò accade, torna a un respiro normale e rilassati.

Principianti ed esperti

Nei testi antichi yogici, la pratica del Pranayama è stata sempre insegnata in posizione seduta. Tuttavia, Iyengar ha notato che il mantenimento della corretta postura seduta richiedeva tanto sforzo a molti studenti, decise di consentire agli studenti principianti di sdraiarsi in una variante di Savasana, in cui colonna vertebrale e torace sono supportati, per creare un rilassamento sufficiente, cosicchè il lavoro sulla respirazione potesse essere fatto in modo sicuro. Lo svantaggio di essere sdraiati è che il respiro è ristretto poichè la parte posteriore dei polmoni preme contro il supporto. I più esperti, invece, possono sedersi perché l’intero tronco è libero di muoversi, di fronte, dietro e sui lati. In Light on Pranayama, Iyengar, sottolinea ciò di cui ha bisogno il praticante: una spina dorsale stabile e una mente ferma ma vigile. Entrambe si costruiscono con una forte pratica di asana.

Tempo e pazienza

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Sdraiati con le natiche appoggiate al pavimento e sistema delle coperte per sostenere le regione lombare della schiena. Se la testa si abbassa all’indietro quando ti sdrai, mettici sotto un mattone con una coperta sopra. Rilassa tutto il corpo e comincia a osservare il respiro. Dopo alcuni minuti, noterai che è diventato più lento e più profondo. Al termine di una normale espirazione, rimani in pausa per un secondo o due prima di proseguire. Se ti senti teso o sei senza fiato, la tua pausa è stata troppo lunga. Cerca di aggiungere una lieve ritenzione, alla fine dell’espirazione per alcune volte. Poi prova a inspirare più profondamente. Invece di forzare il respiro all’interno, muovi le costole all’estreno. Dopo aver inspirato, fai pausa per un secondo prima di espirare lentamente e dolcemente. Se senti tensione da qualche parte nel corpo, o sei senza fiato, sei stato troppo aggressivo. Se ti senti rilassato e calmo pratica il ciclo completo: una breve pausa al termine di un’espirazione, poi un’inspirazione lenta e rilassata avviata dalla gabbia toracica verso l’esterno. A seguire una breve pausa alla fine dell’inspirazione, poi una lenta, completa esalazione seguita da una breve pausa. Pratica questo pranayama finché riesci a rimanere concentrato e rilassato. Inizia lentamente e costruisci l’esercizio nel tempo.

Giù la testa

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Siedi in una posizione semplice a gambe incrociate. Usa abbastanza coperte sotto i fianchi affinché le ginocchia siano parallele. Senti bene l’appoggio dell’osso sacro e solleva la colonna vertebrale e i lati del tronco verso l’alto senza creare tensione nella parte bassa schiena. Rilassa il retro del collo e fai cadere la testa verso il basso. Quando pratichi pranayama in posizione seduta, porta la testa verso il basso per creare Jalandhara Bandha (chisura della glottide). Una testa alta provoca pressione a cuore, cervello, occhi e orecchie.

Riposo consapevole

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Dopo aver praticato un qualsiasi tipo pranayama, è importante terminare con Savasana (Posizione del Cadavere), al fine di calmare i nervi e cancellare ogni tensione che puoi avere creato durante la pratica. Piega e appoggia a terra una coperta sottile. Sdraiati sopra di essa in modo che la coperta sia perpendicolare alla spina dorsale e sotto la base delle scapole. Appoggia un’altra coperta ripiegata sotto la testa. Lascia riposare le spalle sul pavimento. Questo supporto crea un delicato sollevamento dello sterno, che è calmante per i nervi.

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