Mafia, misteri e affari: quelle strane amnesie sulla val Susa

NO TAV: CORTEO A ROMAPrendersela coi giornalisti italiani non è cosa di cui si possa andare fieri: prima di tutto perché è come sparare sulla croce rossa, poi perché si è in (assai) cattiva compagnia: da Cicchitto a Bondi alla Santanché ma passando per D’Alema che lo fanno un giorno sì e uno anche, tranne che nei confronti dei loro “biografi quotidiani” profumatamente pagati tramite finanziamento pubblico. Del resto non è colpa mia se in Italia non esistono gli “editori puri”, tranne poche lodevoli e circoscritte situazioni. Né posso farmi carico del percorso che ha portato ad approdi generalmente più confortevoli anche la maggior parte di coloro che nei primi anni aspiravano a dare attraverso il giornalismo il proprio personale contributo alla rivoluzione – che evidentemente ritenevano imminente. Nel caso di questi ultimi, alla perdita dell’indipendenza di giudizio va aggiunta anche una ulteriore tara che appesantisce non poco le loro cronache: il doversi rapportare con persone che per caso o per determinazione sono rimaste per quanto possibile più coerenti verso le idee che un tempo li accomunavano: persone spesso conosciute o addirittura frequentate negli anni della meglio gioventù.

 

Questo, più che le direttive di partito o il conflitto di interessi degli “editori” spiega – secondo me – l’overdose di livore (spesso personale) che iniettano Gianni Riotta: esordì sul "Manifesto" come Lucia Annunziatanelle cartucce delle loro stampanti… Di casi ce ne sono a decine e ognuno può riconoscere il proprio compagno di liceo (o di collettivo) tra coloro che oggi sono passati a una “vita migliore”: su tutti emerge Gianni Riotta le cui corrispondenze dall’America pubblicate dal quotidiano comunista “Il Manifesto” (spesso in coppia con la l’allora passionaria Lucia Annunziata) davano una certa ebrezza ai compagni-lettori, che erano portati a immaginare che di lì a poco Noam Chomsky sarebbe stato proclamato presidente degli Stati Uniti… La collezione di direzioni di testate meno rivoluzionarie – da “La Stampa” al “Sole 24 Ore” passando dal Tg1 Rai – che gli sono state offerte negli anni più recenti lascia immaginare che abbia cambiato idea. Del resto, si dice che solo gli stupidi non le cambiano.

 

E certamente non è stupido Stefano Manichini, anche se qui al “chi era costui” andrebbe aggiunto “cos’era il suo giornale”, visto che “Europa” (uno dei due giornali del Pd) pesa pressoché esclusivamente sulle tasche dei cittadini, senza le cui disprezzatissime tasse non sopravvivrebbe un nanosecondo; (ma ciò non lo induce ad astenersi – non foss’altro per decenza – dallo scrivere che il giornale in cui imparò il mestiere – ancora “Il Manifesto” – non deve essere salvato dal fallimento a spese dei contribuenti!). Ma non voglio qui fare un elenco completo di tanti campioni della libertà di stampa (rimborsata un tanto al chilo)… Voglio solo provare a spiegarmi (coinvolgendo chi non ha di meglio da fare che leggermi) un Stefano Menichinipossibile perché di quel “valore aggiunto” che troviamo insopportabile nelle cronache con cui in questi giorni si è tornati a descrivere la lotta No Tav.

 

Infatti, scendendo via via di notorietà, arriviamo sino ai cronisti di nera o ai redattori locali. E’ in particolare per i loro resoconti che ci chiediamo perché in una sorta di anticipo di quella che verosimilmente potrebbe essere la “campagna d’autunno” contro il movimento più longevo e popolare del bel paese, le accuse più infamanti non siano state riservate ai disprezzati “anarcoinsurrezionalisti” . Certo, nei loro confronti e della loro enfatizzata violenza scrivono tutti i giorni articoli con dei toni che sarebbero stati più idonei per descrivere il ritrovamento della R4 rossa in via Caetani col cadavere dell’on. Aldo Moro ripiegato nel bagagliaio. Ma le insinuazioni più subdole sono invece adoperate per adombrare che chi ha svolto fin dai primi anni il lavoro di critica del progetto e dell’idea stessa della Grande Opera (diventata nostro malgrado il simbolo contro cui oggi si sarebbero appassionate le “frange violente”) potrebbe averlo fatto perché al soldo di un partito della gomma, per definizione ricco e malvagio, contro un partito del ferro (quello povero ma buono)!

 

E c’è chi, per dimostrare tale teorema, non ha esitato a rovistare nella spazzatura che si accumula nel buio della notte tra i profili anonimi di Facebook, elevando a rango di prova il delirio puro! Come se non si ricordasse più una sola riga di “Attentati ad alta velocità: – Quei misteri della Val di Susa Mafiosi, agenti dei servizi disoccupati, ufficiali dei carabinieri. Tutto quel che non dice l’inchiesta sulla pista anarchica”, “Dietro l’inchiesta sugli attentati contro l’Alta velocità c’è una valle di misteri, intrighi, ricatti che sta producendo da sola più indagini dell’intera provincia di Torino”. Una valle crocevia, non solo in senso geografico. I cento chilometri che dal capoluogo piemontese giungono al confine francese di Modane sono stati teatro dei ricatti mafiosi dei clan calabresi insediati a Bardonecchia, dei traffici d’armi dell’armeria Brown Bess di Susa, delle azioni, a fine anni ’70, dei terroristi di Prima Linea, delle attività non sempre limpide degli uomini dei servizi insediati da Dalla Chiesa per reprimere lo stesso terrorismo e poi rimasti in valle sull’orlo di una imbarazzante disoccupazione. Al centro delle inchieste anche la Sitaf, la società che ha costruito l’autostrada per Modane e che ora sarebbe intenzionata ad entrare anche negli appalti sull’Alta Paolo Griserivelocità. Una storia di bombe…”.

 

E’ solo l’incipit di un lunghissimo articolo pubblicato il 4 aprile 1998. Ed è grave che non se ne ricordi più visto che l’aveva firmato lui, Paolo Griseri. Ma non per “Repubblica”, bensì per “Il Manifesto” (ancora una volta il quotidiano comunista grazie al quale – anche lui – si stava “facendo le ossa”). Che cosa è successo, da allora, da indurlo a cambiare così radicalmente idea? Davvero pensa che esistano due partiti (gomma contro ferro) e non il partito unico del calcestruzzo? Il partito che ha anticipato le larghe (losche?) intese fin da quando lui stesso ne riferiva le vere aspirazioni: entrare nel nuovo business prima ancora che si esaurisca il vecchio… Un buon cronista dovrebbe ricordare che fu l’allora presidente Sitaf, Santonastaso (amministratore delegato era un certo Virano) a finire nell’inchiesta del pool Mani Pulite sul “banchiere” Pacini Battaglia! Dovrebbe aver conservato le intercettazioni telefoniche che finirono su tutti i giornali (anche per il clamore che suscitarono alcune ambigue battute dell’allora pm Di Pietro e il ruolo chiacchierato del suo fido avvocato Lucibello!).

 

Telefonate imbarazzanti, in cui il capo supremo di Sitaf cercava il modo di garantire un ruolo di primo piano nell’“affare ferroviario” alla concessionaria autostradale. Interessata al punto che in quello stesso periodo cambia la ragione sociale e – a parità di acronimo – da Società Italiana Traforo Autostradale del Frejus diventa Società Italiana Trafori Autostradali e Ferroviari! Certo, un buon cronista non si affeziona alle storie vecchie, ma “sta sul pezzo”. Se poi è un “cronista di razza” non segue ma anticipa le novità. Ma allora, mentre si trova in trasferta tra Modane ed Annecy per riferire della talpa che scava il tunnel autostradale “di sicurezza” – e di Besson, Virano e Brinkhorst che scavano nei bilanci Ue alla ricerca del finanziamento del tunnel dei supertreni – non si poteva chiedere se la Nuova Ltf (o come si chiamerà il soggetto deputato a realizzare non gli studi e i sondaggi ma la Grande Opera vera e propria) non sarà per caso assemblato con le due società autostradali, francese e italiana, nel ruolo di “galline dalle Mario Virano intervistato dalla Annunziatauova d’oro” per la capacità di indebitamento che l’incasso quotidiano di ricchi pedaggi consente? (Capacità di indebitamento comunque corroborata dalla garanzia dagli Stati e a carico del debito pubblico).

 

Evidentemente oltre ai suoi vecchi articoli non legge neanche i comunicati stampa del triunvirato del buco! Oppure li legge, ma li cestina perché il vero obiettivo della campagna mediatica d’autunno non sono coloro che hanno provato a erigere le barricate fisiche contro il cantiere paramilitare del Clarea, ma chi si dedica da un quarto di secolo alle cosiddette “barricate di carta”. Con uno zelo tutto particolare di alcuni redattori militanti di “Repubblica”/Torino nel fiancheggiare coloro che nel Pd temono il contagio che amministratori competenti e coraggiosi come lo sono la maggior parte di quelli valsusini (alcuni ancora iscritti al Pd, nonostante tutto) potrebbero estendere a un partito i cui capi occulti lavorano da sempre alle larghe (losche?) intese prima ancora che l’emergenza spread lo rendesse una “necessità di Stato”.

(Claudio Giorno, “Cattive coscienze”, dal blog di Giorno del 15 settembre 2013).

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