Banca del seme per creare le super api. Negli Usa vogliono lo sperma di quelle italiane

di Maria Ferdinanda Piva

Sembra la trama di un film di serie C a metà fra l’horror sadico e la fantascienza catastrofista. Invece è proprio vero. Uno scienziato statunitense viene in Italia per prelevare lo sperma delle nostre api, congelarlo nell’azoto liquido e creare una banca del seme destinata alla fecondazione delle api regine americane.

Vuole creare le super api, in grado di resistere dal declino che si manifesta in tutti i Paesi in cui l’agricoltura è industrializzata, Italia compresa: negli Stati Uniti, in particolare, l’anno scorso è morto addirittura un terzo delle colonie. Ma soprattutto ha intenzione di produrre ceppi di api “on demand”, su misura per le particolari esigenze di ogni agricoltore. Infatti le api sono essenziali per l’impollinazione delle colture, e solo in subordine sono utili per il miele.

Evidentemente agli americani non viene neanche in mente di salvare le api riducendo l’uso degli insetticidi in agricoltura. Pensano invece di continuare a vendere insetticidi e di cominciare avendere lo sperma delle api: l’iniziativa di raccoglierlo viene da un’università, ma è facile immaginare che poi non lo regaleranno mica.

L’idea delle super api e della banca del seme è di Steve Sheppard, professore di Entomologia alla Washington State University.

Parte dalla constatazione che da vent’anni è vietato importare api negli Stati Uniti, per preservarle da parassiti e malattie che altrove sono diffuse. Quindi (e fin qui il ragionamento non fa una piega) una maggiore variabilità genetica non potrebbe che giovare alle api americane.

Però (e a questo punto le mie e le sue vedute iniziano a divergere) lui vuole il miglioramento genetico delle api per aumentare la loro resistenza alle attività umane che ne causano il declino.

Il professor Sheppard lo attribuisce al mix formato da malattie, pesticidi ed alimentazione poco varia a causa della diffusione delle monocolture.

Si potrebbe agire direttamente sugli ultimi due fattori. Sheppard si propone invece di creare le super api fecondando le migliori api regine statunitensi con lo sperma dei migliori fuchi (i maschi delle api) reperibili in Europa.

La sua attenzione si è focalizzate su tre varietà di api europee: l’Apis mellifera carnica (tipica della zona che va dall’Austria all’Ungheria), l’Apis mellifera caucasica, diffusa soprattutto in Georgia, e l’Apis mellifera ligustica, la nostra tipica ape italiana.

Le api italiane sono abituate al caldo, ragiona Sheppard, e dunque entrano in azione non appena si affaccia la primavera. Lo sperma dei loro maschi è dunque adatto a fecondare le api regine americane quando gli apicoltori hanno necessità di impollinare colture di precoce fioritura. Al contrario, le api austriache e caucasiche sono abituate a climi piuttosto freschi; entrano lentamente in piena attività e il loro sperma va bene per gli agricoltori che hanno bisogno di far fruttificare colture tardive.

L’entomologo dice che prelevare lo sperma dei fuchi è facilissimo (e comunque, poveretti, credo che essi si aspettino legittimamente di contribuire in ben diverso e più soddisfacente modo alla perpetuazione della specie); si conserva a temperatura ambiente per qualche giorno e per periodi più lunghi il metodo dell’azoto liquido funziona alla perfezione.

La sua intenzione è appunto metter su una banca dello sperma per api. Abc News sostiene che il professor Sheppard ha già raccolto campioni di sperma di tutte e tre le varietà europee su cui ha posato gli occhi; The Verge aggiunge che nelle prossime settimane il professore verrà in Italia per effettuare ulteriori prelievi.

Se fossi un apicoltore e lo trovassi ad armeggiare attorno ai miei alveari, lo trascinerei innanzitutto da un notaio per fargli firmare l’impegno perpetuo a regalare lo sperma delle api senza pretendere nulla in cambio da chicchessia.

Immagino però che ci sia in giro tanta gente meno liberale di me. C’è infatti anche l’altra opzione: costringere il professore a transitare davanti alla cassa prima di ricever l’autorizzazione ad effettuare i prelievi.

Significherebbe però mettersi al suo livello. Mettersi al livello di uno che vede solo l’utilità commerciale della biodiversità. Mentre invece essa appartiene a tutti e non ha prezzo: esattamente come la natura nella sua complessità e nel suo insieme.

Fonte http://blogeko.iljournal.it

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