Integratori alimentari? Dannosi e inutili.

suplementiE ora chi lo dice a erboristi, naturopati e veg? Chi di voi non ha mai preso di tanto in tanto, in inverno, una compressa di vitamina C o acido ascorbico, sostanza che – si legge in tutti gli studi dedicati – non riesce a prevenire – statisticamente – neanche la più leggera infreddatura e che un famoso professore di medicina, per svegliare gli studenti degli ultimi banchi, dichiarava “buona solo per fare una pipì molto costosa”?

Dahlberg e colleghi furono pionieri nel mettere alla prova l’acido ascorbico. Ma su un campione di 1259 soggetti – riprendo dal mio Manuale di Terapie con gli Alimenti – già nel 1944 non registrarono nessuna differenza significativa negli episodi di raffreddore tra quelli che avevano preso l’acido ascorbico (l’integratore di vit. C), e quelli che avevano avuto un placebo: appena lo 0,05. Dati analoghi da altri studi più recenti (uno per tutti: Glazebrook & Thomson, rif. dalla review di T.C. Chalmers, del Mount Sinai Medical Center, 1975). E ancora, su 407 soggetti trattati con vitamina C furono contati 6,5 raffreddori a testa in un anno (durata media: 3,9 giorni), contro i 5,9 raffreddori (durata: 4,1) del gruppo di controllo (Anderson et al. 1972). L’anno dopo, lo stesso gruppo di ricercatori su 583 soggetti trattati a vit.C registrò un esito addirittura negativo, sia pure di pochissimo: 6,03 raffreddori anziché 6,0 (Chalmers cit.). Il supplemento di vit.C dato a 47 persone per un anno “provocò” (lo diciamo con ironia) 3,24 raffreddori (durata media: 3,5), mentre i 43 soggetti senza vit.C ebbero ben 6,45 raffreddori (durata: 4,2). Il vantaggio, quella volta fu sostanziale: 3 episodi in meno a persona e un risparmio di 0,7 giorni di malattia (Charleston & Clegg, ibidem). Vi risparmio le centinaia di altri esperimenti clinici più recenti.

Insomma: molti studi nulli o contraddittori, il che vuol dire nessuna incidenza statistica significativa. Ma forse sintomi leggermente meno marcati. L’unica “vittoria” di Linus Pauling, il Nobel fautore di alte e altissime assunzioni di vitamina C come “preventivo totale”, “anti-infettivo” a vasto raggio, “anti-cancro”, “stimolante delle difese immunitarie”, “antiossidante generale” (questa è la vulgata popolare che ha prevalso tra la gente, per colpa di Pauling), è forse quella, minima, della leggera riduzione dei sintomi… del raffreddore. E ne valeva la pena, per una sostanza che ha purtuttavia una sua intrinseca tossicità?

Bruce Ames già negli anni Ottanta in una famosissima letter su Science, e poi molti studi odierni, hanno dimostrato che assunto da solo, cioè fuori dei cibi, l’acido ascorbico isolato (“integratore”) è in realtà mutagenico sulla cellula, e si comporta da ossidante anziché da antiossidante. Fino a pochi anni fa si riteneva anche che favorisse i calcoli renali da ossalato di calcio; oggi non è più sicuro. Su una review di Food Chemical Toxicology (1984) si vide che l’eccesso di vitamina C ha affetti molto negativi, analoghi a quelli di una carenza grave: si riducono i livelli del polienzima citocromo P450, è compromessa la sintesi della emoproteina, è ridotta l’attività dell’enzima cholesterol-7alfa-idrossilasi che comanda la degradazione del colesterolo, aumentando il colesterolo nel fegato e nel sangue, e riducendo il ciclo degli acidi biliari.

Ma a parte l’efficacia nulla, anche l’ assorbimento è inferiore nel caso della vitamina isolata. Anche a basse dosi, è stato provato su 19 soggetti che la vitamina C assunta con la frutta al naturale o nel succo di frutta fresco ha una più alta biodisponibilità, cioè si assorbe molto di più (oltre il 35% in più), della stessa vitamina assunta da sola, cioè come integratore (Vinson & Bose, Univ. Pennsylvania). Su 8 soggetti, 500 mg di ascorbato e l’equivalente sotto forma di succo d’arancia hanno dato in media, misurando l’area sottostante alle curve del grafico, una concentrazione della seconda forma vitaminica nel sangue di 797 ± 82, anziché 590 ± 117, cioè il 35% in più.

I bioflavonoidi largamente presenti in verdure (peperoni ecc.) e frutta (secondo numerosissimi studi, tanto che ora sono contenuti anche in parecchie formulazioni di integratori di vit.C), e anche (per Szent-Gyorgyi) germe di grano e lievito di birra, sono stati considerati le sostanze nutrizionali e i cibi più sinergici con la vitamina C.

Non parliamo poi della vitamina A, del beta-carotene o, peggio, dell’ancor più tossico retinolo, o della vitamina D (“per le ossa”), o del complesso antiossidante “ACE più selenio”, in cui le tre vitamine-star si accompagnano al più rischioso dei minerali “antiossidanti”, così popolare che oggi te lo rifilano perfino nelle bibite da supermercato discount, dove ormai è difficile trovare aranciate e bibite senza vitamine aggiunte. Questa moda non ha niente a che fare con l’alimentazione naturale, anzi è il suo opposto: è una stupida e pericolosa farmaco-mania.

Perché, appunto, si tratta di farmaci, anche quando la vitamina è definita “naturale”, estratta da piante o frutta, e non di “supplementi alimentari”, secondo un trucco che evita ai produttori farmaceutici di provarne l’innocuità con lunghi e costosi test. Perciò queste vitamine estratte (o sintetizzate, è lo stesso), questi integratori isolati, sono poco o per nulla provati scientificamente sull’uomo, nonostante il loro diffuso uso spontaneo ovunque (negli Stati Uniti la vitamina C si compra in drogheria, anche a etti), prendendo alla lettera le eccentriche prescrizioni di quegli originali Pauling e Szent-Györgyi, entrambi premi Nobel, che oggi, con le attuali conoscenze che riducono molto l’impiego della vitamina C isolata, sarebbero molto criticati dalla comunità scientifica.

Integratori “naturali”? Macché. Il termine “naturale” non si riferisce solo all’origine, come credono tutti ingenuamente e come lasciano credere i produttori furbi. Che siano prodotti per sintesi chimica o da estratti di aghi di pino, acerola o erba dei prati, non fa differenza, visto che la formula è la medesima per una sostanza pura: gli integratori sono sostanze artificialmente isolate e separate dalle migliaia di altre presenti nel medesimo frutto o ortaggio, e perciò non più inserite nei complessi sinergismi naturali che tengono in equilibrio e bilanciano tra loro le migliaia di molecole chimiche, com’è tipico della Natura vegetale. E quindi sono tutto fuorché “naturali”: anzi, sono il massimo dell’artificio innaturale.

Il dr. Andrew Weil, anziano fondatore dell’Arizona Center for Integrative Medicine, è stato uno dei rari botanici a diventare medico, ad Harvard, e ha sintetizzato in un chiaro e icastico articolo per Huffington Post per quali motivi si ricorre così massicciamente agli integratori, sia i medici per gli esperimenti, sia i pazienti: 1. la facilità d’impiego data dalla sicurezza della standardizzazione, 2. la possibilità di larghi profitti per l’industria farmaceutica con i marchi registrati presso l’Ufficio Brevetti. Così, quando una pianta mostra effetti benefici verso l’uomo, i medici e i biologi sperimentali preferiscono usare una sostanza isolata estratta dalla pianta, che loro chiamano quasi abusivamente “principio attivo”, anziché le pianta intera. “Dopodiché – denuncia – noi  [medici] dimentichiamo tutto il resto della pianta, comprese le altre sue sostanze e le complesse interazioni tra di loro”. Ma, se è per la standardizzazione – precisa Weil – la tecnologia moderna permette di coltivare e di trattare le piante naturali, cioè intere, in modo da produrre “complessi standardizzati”. Ma la pianta al naturale offre molte meno possibilità di profitto ai ricercatori. Questo il primo vero, grande motivo del successo degli integratori.

Fatto sta che le sostanze isolate, sia pure estratte “naturalmente” da piante che pure hanno dimostrato di essere benefiche per l’uomo, possono risultare inefficaci o pericolose, anche perché possono turbare, proprio perché isolate, un delicato equilibrio bio-chimico del nostro organismo che invece la pianta intera non turbava. E infatti si sa da almeno 20 anni che con gli integratori aumentano i rischi. Lo ha provato e straprovato la scienza, e ora anche una nuova meta-analisi che riesamina ex-novo 67 studi scientifici già noti, tutti controllati cioè correttamente condotti, con migliaia di soggetti, per provare che con gli integratori vitaminici – e lo stesso, se non peggio, è con altri integratori – i rischi di malattia e di decesso aumentano, non diminuiscono.

Per noi naturisti, che seguiamo l’alimentazione naturale e le medicine naturali, è l’ennesima vittoria. Insieme alla scienza sperimentale. Dopotutto noi e loro deriviamo da un unico antenato comune: Ippocrate.
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Non è naturale isolare una sostanza tra le 500 o 5000 presenti in un alimento, facendo a meno dei complessi sinergismi tra sostanze naturali (in molti casi ancora da scoprire) che bilanciano, potenziano, neutralizzano, modulano le azioni farmacologiche delle varie sostanze presenti nel vegetale, e propinarla da sola, cioè “pura”, a noi stessi o ai pazienti. Che poi è quello che si fa coi farmaci, anche queste sostanze isolate, pure. Invece, è naturale l’alimentazione nel suo complesso, è naturale un solo alimento purché intero, completo, cioè integrale (al limite una parte di esso, p.es. il germe di grano), sono naturali l’acqua, la luce, il sole, le terre, le piante officinali (anche queste, solo se intere, fresche o ben conservate, o estratti o tinture ottenuti dall’intera pianta).
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Questo restringe moltissimo il campo del business, insomma gli affari del settore industriale e commerciale pseudo-naturista o finto “naturale”, ma tant’è, è la scienza. Ma come, non accusavamo la scienza di proporre farmaci inutili, spesso tutti con la medesima molecola isolata? E una volta tanto che la scienza smentisce il business dell’industria farmacologica che la finanzia, non vogliamo crederle? Tra l’altro è una conferma che va d’accordo con la Tradizione. Quindi, che volete di più? O vogliamo aggiungere nuovi farmaci a quelli già troppo numerosi della farmacia?

Davvero siamo diventati tutti così artificiali, così poco amanti e sospettosi del cibo naturale per l’uomo, da preferire quei veri “farmaci innaturali” (nonostante la definizione legale di comodo) che sono gli integratori da farmacia, erboristeria, palestre, negozi per pesistica ecc., tanto da rivolgerci alla farmacia o all’erboristeria anziché al negozio di frutta e verdura? Ma allora, molecola isolata per molecola isolata, cioè artificiale, tanto vale affidarsi ai farmaci veri e propri, registrati come tali, che almeno per legge devono essere provati e riprovati (e con tutto ciò, siamo noi consumatori umani, dopo gli animali di laboratorio, a fare da cavie finali, effettive). Invece, i cosiddetti “integratori alimentari”, definiti così da scandalose norme di legge (in tutta Europa) solo per eludere i costosissimi e rischiosi controlli sull’efficacia terapeutica che si pretendono dai farmaci non sono testati minimamente, né devono provare di essere efficaci per essere posti in commercio. E’ sufficiente che non siano immediatamente tossici!

Ci dispiace per farmacisti, istruttori di palestre, naturopati, erboristi, riviste che vivono con la pubblicità delle ditte del “finto Naturale”, e pure per qualche medico, che basano gran parte dei loro interventi (e guadagni) sugli integratori, sulle vitamine isolate, sugli antiossidanti, sugli estratti dalla dubbia efficacia. Quelle compresse, polveri, gelée, pillole, capsule, quegli opercoli, estratti, granuli, non solo probabilmente non servono a niente, ma possono aumentare i rischi.

Primo perché non si tratta di alimentazione, ma di una vera e propria cura farmacologica, con tutti i rischi tossicologici di una nuova sostanza che viene a turbare – e non si sa neanche come e quanto – l’equilibrio chimico e metabolico del nostro corpo(Michele Carrubba, docente di farmacologia, intervistato da Luigi Ripamonti sul Corriere della Sera online, a commento dell’articolo riportato più avanti). E poi perché il ricorso alla presunta “àncora di salvezza” della compressa consente ai tantissimi che si alimentano male e conducono vita sedentaria (che già di per sé è ad alto rischio) di continuare a farlo con l’errata convinzione di “aver fatto tutto il possibile”, di “curarsi”, di “essere finalmente a posto” (Andrea Ghiselli, nutrizionista INRAN, ibidem). Ecco l’articolo del Corriere della Sera che divulga la ricerca scientifica di cui si tratta:

Meta-analisi dell’Università di Copenaghen
INTEGRATORI VITAMINICI “A RISCHIO”
Secondo l’analisi di studi pubblicati negli anni passati potrebbero aumentare la mortalità (Corriere della Sera, 16 aprile 2008)

“Le pillole a base di integratori vitaminici potrebbero aumentare il rischio di mortalità, accorciando di fatto la vita di chi li assume. L’allarme viene da uno studio della Copenaghen University, pubblicato su The Cochrane Collaboration e su JAMA. Gli scienziati, riesaminando 67 studi clinici randomizzati sulle pillole vitaminiche, hanno appurato che non c’è “nessuna prova convincente” che gli integratori facciano bene alla salute, mentre ve ne sarebbero sulla loro dannosità.

La metanalisi, cioè l’analisi di studi già pubblicati [ovvero, il riesame critico alla luce delle conoscenze scientifiche e delle più severe norme interpretative di oggi, di numerosi studi esistenti in letteratura scientifica, NdR], ha preso in considerazione ricerche cha hanno coinvolto 232 mila partecipanti, confrontando chi aveva assunto integratori con chi aveva preso solo un placebo o non aveva avuto nessun trattamento. Gli integratori analizzati sono stati il beta-carotene (noto precursore della vitamina A, che è convertito in vitamina A retinolo nel corpo), la vitamina, la C, la E e il selenio.

“Non abbiamo trovato alcuna prova – sottolinea Goran Bjelakovich, il ricercatore che ha guidato la ricerca presso l’Università di Copenaghen – che prendendo integratori antiossidanti si riduca il rischio di morte precoce per persone sane o malate”. Anzi, “i risultati mostrano che i soggetti a cui sono state somministrate beta-carotene, vitamina A e vitamina E hanno mostrato un aumento dei tassi di mortalità”. Mentre “non vi è stata alcuna indicazione del fatto che la vitamina C e il selenio possano avere effetti positivi o negativi, abbiamo bisogno di più dati”.

“Prese separatamente, alla vitamina A è stato associato un 16 per cento di aumento della mortalità, al beta-carotene, un 7 per cento e alla vitamina E un 4 per cento. In sostanza, riassume Bjelakovich, “le attuali evidenze scientifiche sconsigliano l’uso di integratori nella popolazione sana”. Antiossidanti dannosi, dunque, ma sul perché i ricercatori non si sbilanciano: probabilmente “il loro uso eccessivo può alterare i processi fisiologici”. 

Qui finisce l’articolo divulgativo.

Lo studio originale di Bjelakovich e colleghi é consultabile su JAMA, rivista scientifica molto letta dai medici (che dopo preparatori di palestre e farmacisti sono i maggiori “prescrittori” di integratori), e conferma su ben 232.000 soggetti (non topi o ratti, ma esseri umani in carne e ossa) che gli integratori vitaminici e minerali sono inutili e apparentemente innocui, oppure inutili e addirittura dannosi.
Ed ora due studi scelti casualmente tra migliaia, entrambi pubblicati dalla più importante rivista scientifica di nutrizione clinica al mondo, che illustrano chiaramente la differenza abissale in efficacia tra alimenti completi e integratori:
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IL CASO DELLA MELA E DELLA VITAMINA C. VERDURE E FRUTTA HANNO EFFETTI BENEFICI NON PER I SINGOLI ANTIOSSIDANTI, FOSSE PURE LA VIT.C “NATURALE”, MA PER LA COMBINAZIONE SINERGICA, QUESTA SI’, DAVVERO NATURALE, DEI VARI PRINCIPI ATTIVI.
“Health benefits of fruit and vegetables are from additive and synergistic combinations of phytochemicals”.
Rui Hai Liu. American Journal of Clinical Nutrition 78, 3, 517S-520S, September 2003. .

Regular consumption of fruit and vegetables is associated with reduced risks of cancer, cardiovascular disease, stroke, Alzheimer disease, cataracts, and some of the functional declines associated with aging. Prevention is a more effective strategy than is treatment of chronic diseases. The key question is whether a purified phytochemical has the same health benefit as does the whole food or mixture of foods in which the phytochemical is present. Our group found, for example, that the vitamin C in apples with skin accounts for only 0.4% of the total antioxidant activity, suggesting that most of the antioxidant activity of fruit and vegetables may come from phenolics and flavonoids in apples. We propose that the additive and synergistic effects of phytochemicals in fruit and vegetables are responsible for their potent antioxidant and anticancer activities, and that the benefit of a diet rich in fruit and vegetables is attributed to the complex mixture of phytochemicals present in whole foods.
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I VEGETALI AL NATURALE RIDUCONO IL RISCHIO CANCRO, MA NON GLI INTEGRATORI DI VIT.C ED E
“Epidemiologic evidence for vitamin C and vitamin E in cancer prevention”. T Byers and N Guerrero. American Journal of Clinical Nutrition 62, 1385S-1392S.

Antioxidant nutrients have been hypothesized to be protective against cancer. Vitamin C is a major circulating water-soluble antioxidant, and vitamin E is a major lipid-soluble antioxidant. Many case-control and cohort studies have related cancer risk to estimates of nutrient intake derived from food intake reports. Diets high in fruit and vegetables, and hence high in vitamin C, have been found to be associated with lower risk for cancers of the oral cavity, esophagus, stomach, colon, and lung. Diets high in added vegetable oils, and hence high in vitamin E, have been less consistently shown to be associated with cancer protection. This may be because vitamin E offers less protection against cancer or because the estimation of vitamin E intake is less accurate than is the estimation of vitamin C intake. In contrast with the findings from epidemiologic studies based on foods, observational studies of nutrients consumed in supplements and recent experimental trials provide little support for a strong protective role for vitamins C or E against cancer. If vitamins C or E are indeed protective against cancer, that protection may derive from their consumption in complex mixtures with other nutrients and with other bioactive compounds as found in the matrix provided by whole foods.

E già in passato si era visto che gli integratori di vitamine A retinolo, A  betacarotene ed E isolate, si rivelano inutili, anzi dannose. In numerosi studi clinici i soggetti a più alta assunzione di integratori di beta-carotene o retinolo non solo non avevano un più basso rischio tumorale o cardiovascolare (Hennekens et al. 1996), ma anzi soffrivano un più alto rischio – addirittura un terzo in più – di cancro ai polmoni, e avevano un più alto tasso di decessi.

HENNEKENS et al. Lack of Effect of Long-Term Supplementation with Beta Carotene on the Incidence of Malignant Neoplasms and Cardiovascular Disease. N Engl J Med 1996; 334:1145-1149 May 2, 1996.

Uno studio che ha fatto epoca, noto come “Beta-carotene and retinol efficacy trial” (CARET), condotto su 18 mila fumatori o ex fumatori negli Stati Uniti a partire dal 1983 (era proprio l’epoca dei primi trionfanti esperimenti col beta-carotene sugli animali di laboratorio), fu addirittura interrotto d’urgenza nel gennaio 1996 quando ci si accorse che il gruppo che assumeva i supplementi di vitamina A (30 mg di beta-carotene e 25000 UI di retinolo al giorno) stava avendo molti più tumori ai polmoni (fino a +28%) e più decessi (+17%) del gruppo che riceveva un placebo. Effetto ancora più marcato ha avuto l’integratore di beta-carotene in compresse su fumatori o esposti all’amianto, proprio le categorie che lo assumevano “per prevenire” o “curarsi”, come si vede nello studio integrale allegato (Goodman et al. 2004):

GOODMAN et al. The beta-carotene and retinol efficacy trial: incidence of lung cancer and cardiovascular disease mortality during 6-year follow-up after stopping beta-carotene and retinol supplements. J Natl Cancer Inst. 2004,96(23),pp.1743-50

Supplementi di betacarotene (20 mg/die), inoltre non riducono i rischi di ricadute e comunque di malattie coronariche fatali in chi già ha subìto un infarto (Rapola et al. 1997)

D’altra parte, i supplementi di vitamina C (secondo certe fonti il limite massimo sarebbe addirittura di 2000 mg/die) in realtà aumentano – di molto: fino al 40% – il rischio di ossalati e calcoli ai reni (Massey et al. 2005), e aumentano – di molto: 56% – il rischio di cataratta nelle donne (Rautiainen et al. 2009)

Insomma, unendo le conclusioni dei tre importantissimi studi (che non sono isolati, ma suffragati da altre centinaia) è doveroso trarre le seguenti regole di comportamento alimentare e terapeutico:

Le potenti attività antiossidanti e antitumorali di verdura, frutta, legumi e alimenti integrali sono molto probabilmente dovute agli effetti sinergici delle loro varie sostanze fitochimiche. Infatti, la vitamina C nelle mele – analizzate con la buccia – fornisce solo lo 0,4% dell’attività antiossidante totale. Il che suggerisce che la maggior parte del potere antiossidante dei cibi vegetali deve provenire da polifenoli e flavonoidi (nel caso della mela, appunto, concentrati nella buccia). E infatti gli studi sugli integratori forniscono pochi sostegni all’ipotesi d’un forte ruolo protettivo per le vitamine isolate C o E contro il cancro. E se pure queste vitamine sono davvero protettive, questo può derivare dalla loro assunzione in miscele complesse insieme con altri nutrienti e altri composti bioattivi, come appunto accade nei cibi integrali.

E questo è un principio generale che vale, con rare eccezioni per tutte le sostanze contenute negli alimenti, quindi vitamine, sali minerali, aminoacidi ecc.

Insomma, nonostante che diversi studi affermino il contrario, non esiste evidenza scientifica che assumere vitamine, minerali, antiossidanti attraverso integratori abbia gli stessi effetti benefici sull’organismo che assumere regolarmente frutta e verdura, concludono i ricercatori nutrizionisti. Al contrario, chi consuma integratori può cadere vittima d’una falsa sicurezza, cioè ritenere erroneamente di non dover curare e migliorare la propria alimentazione, dato che “assume già le sostanze” attraverso pillole, tavolette, polveri, soluzioni idroalcoliche ecc. (INRAN).

Neanche nel caso delle bevande gli integratori (salini o minerali) sono indispensabili, utili o sicuri: basta la semplice acqua (di rubinetto o in bottiglia), unita al consumo di verdura e frutta della dieta (v. monografia sulle acque da bere).

In alcuni casi, poi, all’inutilità e inefficacia degli “integratori” si aggiungono sofisticazioni o l’insufficiente percentuale del principio attivo vantato in etichetta rispetto all’olio o al vegetale fresco o al succo del vegetale (p.es. nel caso di alcune capsule di Omega-3), o addirittura l’assenza del principio attivo e del vegetale stesso (p.es. gli antocianosidi specifici), com’è risultato da un’indagine sugli “integratori di mirtillo”.

Fonte

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