Claudio Burlando e la leva dei cinici cosmici

di Pierfranco Pellizzetti, da Critica Liberale

Paolo Sylos Labini soleva dire che «osservando la faccia dell’avvocato Cesare Previti si sarebbe indotti a ritenere la fisiognomica una scienza esatta». Che dire della silhouette da brontosauro di Claudio Burlando, con quella testina poggiata su un corpaccione oversize? Un torpido dinosauro erbivoro, bulimico di potere.

Dunque una creatura primordiale, apparentemente innocua nella sua espressione imbolsita, quanto capace di improvvise reazioni di incontrollabile violenza; quando nel cervello neurovegetativo da rettile si accende la pulsione primaria dell’istinto di sopravvivenza. Come nell’incredibile tentativo di giustificare le proprie macroscopiche responsabilità nelle devastazioni alluvionali, che hanno messo in ginocchio la città di Genova, tirando in ballo niente meno che il nemico di sempre: quell’Adriano Sansa, sindaco del capoluogo ligure tra il 1993 e il 1997, sgarrettato dalla banda burlandiana per le sue intollerabili pretese di vederci più chiaro nel locale partito degli affari.

Ora il demenziale colpo di coda del Governatore Gerundio addebiterebbe a un ciclo amministrativo di venti anni prima la colpa di non aver favorito la realizzazione di Grandi Opere (presunte salvifiche; ma gli esperti avanzano comunque dubbi), preferendo investire nella pulizia e nella manutenzione dei greti torrentizi. Scelta che – guarda caso – ha coinciso con lo stop alle ricorrenti alluvioni locali per ben diciassette anni dalla defenestrazione dello scomodo magistrato prestato alla politica.

L’ennesima pagliacciata argomentativa – a fronte di una calamità seriale che accumula ormai una cinquantina di morti – da ritorcere su se stessa, se solo ci si ricordasse che il vice del presunto inadempiente sindaco Sansa si chiamava Claudio Montaldo. Lo stesso Montaldo che ora siede da vice governatore nella giunta Burlando (oltre che quale potente assessore alla salute)! Ma questo è il Nostro. Il più classico esemplare di quella nomenklatura PC che abbracciò con entusiasmo il messaggio dell’opportunismo blairiano (incarnato da quel Tony Blair a cui – secondo lo storico Judt – non piacevano tanto “le privatizzazioni thatcheriane” quanto piuttosto ambiva a essere cooptato “dai ricchi”); il più tipico esponente di quella che si potrebbe definire la “Terza Generazione” politica italiana.

La penultima delle coorti anagrafiche che si sono succedute al governo dell’Italia, in una inarrestabile corsa al peggioramento.

La Prima Generazione è quella dei Padri Costituenti. Gli Einaudi, i Terracini, i De Gasperi, i Calamandrei. Una leva di personaggi talvolta ingenui (Gaetano Salvemini diceva di Emilio Lussu: «non sa quello che vuole… però lo vuole subito!»), sempre di alto profilo morale e culturale. Forse poco attrezzati per governare la modernizzazione di un’Italia che stava entrando nel novero dei Paesi industrializzati, eppure animati da un forte senso dello Stato.

La Seconda è quella dei bordeggiatori immobili – da Fanfani a Moro – che fecero virtù della necessità di trascorrere la propria vicenda politica in un quadro bloccato, dove le decisioni si prendevano nelle quotidiane pratiche consociative delle commissioni parlamentari. Quanto Italo Calvino metaforizzò in “Grande Bonaccia del Mar delle Antille”, laddove maturava l’idea che il compito primario della Politica si riduce al tenere sotto controllo la Società. E l’ultimo sopravvissuto di questa leva e di tale mentalità è proprio il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Ma già premeva per farsi largo la Terza – di generazione – segnata dallo scivolamento del consociativismo in collusività. La leva dei cinici cosmici, secondo cui la politica è soltanto un ascensore per carriere individuali; la propria funzione, quella dei facilitatori di affari. Nel caso biografico del Burlando, con il trasloco dal natio borgo operaio di Quezzi al quartiere residenziale di Albaro, i Parioli genovesi.

Del resto, in uno degli ultimi congressi del PCI ligure, il giovanotto – a detta dei testimoni oculari – già teorizzava “lo scambio negoziale come essenza delle politica”.

Insomma, al netto di un facile sociologese, “il mercato delle vacche”. E difatti ritroviamo l’allora neo deputato (con un passato di amministratore locale con qualche ombra; e l‘onta di un temporaneo passaggio dalle patrie galere) in prima fila nella pattuglia di mischia scatenata da Massimo d’Alema per fare fuori il naif Achille Occhetto. Grazie alla quale operazione, il Nostro riceverà in premio la poltrona ministeriale dei trasporti; dove non si coprirà di gloria (anzi, ne ricaverà la patente di iettatore, vista la crescita esponenziale dei disastri ferroviari coincisa con la sua permanenza in Villa Patrizi, sede del dicastero).

Sicché, quando verranno stilate analisi accurate di questa antropologia di terzo livello, probabilmente salteranno agli occhi le curiose affinità di matrice anagrafica che la contraddistinguono: per esempio la recezione per contagio imitativo di importanti tratti culturali e comportamentali dei propri coetanei di sponda socialista.
Nel caso, la continuità di stile e strategie tra “l’uomo in penombra” Burlando, dominatore dagli anni Novanta della politica genovese, e il mercuriale golden boy del decennio precedente; quell’Antonio Canepa astro nascente del PSI ligure, morto di overdose il 31 marzo 1983.

Tratto comune l’orientamento al Potere per il Potere. Che ha reso questa leva politica particolarmente permeabile alle mutazioni genetiche di Seconda Repubblica, indotte dall’irruzione sulla scena del (fu) cavaliere di Arcore; effetto tradotto nella nascita di una Sinistra berlusconizzata, ove il termine “sinistra” risulta appiccicato con lo sputo. L’idea contagiosa che il corpo elettorale si riduce a “una platea di bambini di 12 anni, e per di più scemi”. Piuttosto, questi conversi risultarono impacciati – per non dire refrattari – rispetto alle nuove frontiere aperte dalla politica-comunicazione: la sua virata a set da reality show nella logica dello star system.

Una soglia che ora si avvia trionfalmente a varcare la Quarta Generazione, quella per cui tutto si riduce a una poltiglia sonora, un music box che emette frasi suggestive quanto prive di attinenza con la realtà. Le nuove leve che hanno imparato dai nonni consociativi che nell’agire politico non ci sono distinzioni (tanto meno tra Destra e Sinistra), dai padri collusivi hanno tratto il culto per un machiavellismo d’accatto. Mentre relegano i bisnonni, Padri della Patria, al ruolo di inutili barbogi; con quella loro Carta Costituzionale piena di buoni sentimenti che si rivelano solo fastidiosi impedimenti. Inciampi da rimuovere all’insegna dell’assiomatica del echisenefrega.
Si chiama Renzismo. Un carro su cui Burlando si è imbarcato alla ricerca di una nuova giovinezza. Forse inutilmente. O almeno così si spera.

(20 ottobre 2014)

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