Abolire il trattamento sanitario obbligatorio (TSO)

AshiLakeLa Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti al rispetto della persona umana.

 

Art. 32 della Costituzione Italiana 

 

 

Che cos’è un T.S.O.

 

E’ un provvedimento emanato dal sindaco per cui si è obbligati a sottoporci a cure psichiatriche anche contro la nostra volontà. Si attua con il ricovero preso i reparti di psichiatria. Perché venga attuato devono coesistere due certificati medici che accertino che: 1) la persona si trova in una situazione tale da necessitare urgenti interventi terapeutici; 2) la persona rifiuta gli interventi terapeutici proposti; 3) non sono adottabili tempestive misure extra-ospedaliere per la persona.

 

 

Il Trattamento Sanitario Obbligatorio è oggetto di discussione, perché senza dubbio interferisce con l’integrità psichica del soggetto su cui viene effettuato, con il suo libero arbitrio e più  in generale con i suoi diritti umani. 

 

Spesso si tratta di una violazione dei diritti di minoranze deboli: immigrati, zingari, poveri e senzatetto, liberi pensatori, omosessuali, persone ipersensibili.

 

 

Innumerevoli casi verificatisi in tutto il mondo dimostrano come il ricovero e il trattamento con psicofarmaci o altre terapie, contro la volontà del paziente, abbiano spesso causato gravi disturbi nel soggetto trattato e in alcuni casi la sua morte.

Può sembrare incredibile, ma è il Sindaco del comune in cui risiede il paziente coatto a disporre il T.S.O., che è proposto da un medico, non importa se psichiatra. Un medico della struttura sanitaria pubblica, di solito l’ufficiale sanitario, convalida il trattamento, che può essere eseguito quando i due medici suindicati dichiarano che il soggetto destinato al T.S.O. è affetto da turbe psichiche tali da richiedere un trattamento urgente, che rifiuta di sottoporsi agli stessi di sua volontà e che non vi siano alternative extraospedaliere al ricovero.

Il T.S.O. è sempre effettuato presso i reparti psichiatrici degli ospedali civili; dura sette giorni, che il Sindaco può rinnovare su suggerimento del primario del reparto psichiatrico. Il giudice tutelare si accerta che il T.S.O. sia effettuato secondo le procedure di norma. Esistono anche diritti del paziente, ma di fatto egli non può opporsi in alcun modo al trattamento.

IL T.S.O., Trattamento Sanitario Obbligatorio, viene presentato come uno strumento utile a intervenire quando cittadini con gravi turbe psichiche rifiutano di sottoporsi a cure indispensabili, ma in realtà viene usato o con estrema superficialità, su prescrizione di figure professionali impreparate e con una vigilanza praticamente inesistente, o anche come mezzo repressivo per il controllo sociale.

Oltre al T.S.O. vero e proprio, terapie psichiatriche e psicofarmacologiche vengono spesso comminate anche a soggetti deboli: carcerati, anziani, ragazzi con problemi familiari, bambini iperattivi, con l’approvazione del giudice competente.

 

 

L’obbligo a trattamenti  psichiatrici e alla assunzione di farmaci dai gravi effetti collaterali è più diffuso di quanto non si creda. Come può, per esempio, un ragazzino affidato a una comunità ribellarsi a una terapia inutile, che viene prescritta in seguito alle considerazioni di un educatore o di un’assistente sociale? Il medico li asseconda e il giudice, che non è in grado di valutarne l’opportunità, autorizza.
Un adolescente  iperattivo o con inclinazioni omosessuali subisce il trattamento senza fiatare. Esistono strutture private che effettuano tali discutibili terapie per ragazzi italiani o stranieri (in questi ultimi casi si indirizzano i soggetti a centri etno-psichiatrici: un termine inquietante dietro cui girano molto denaro, molta sperimentazione).

 

 

Il T.S.O. è anche un mezzo di oppressione delle minoranze e dei soggetti deboli. Questa  affermazione nasce dalla osservazione di numerosi casi in cui il T.S.O. è stato somministrato con effetti devastanti a cittadini considerati ‘scomodi’ (v. correlati): immigrati, ambulanti, Rom, giovani ma anche persone semplicemente ipersensibili o eccentriche (creative), che vengono prelevate con ambulanze e condotte nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC), dove vengono sottoposte al Trattamento senza che vi siano comportamenti palesemente aggressivi o pericolosi per se stessi o per gli altri. Quindi, sono persone che non soffrono di psicopatologie gravi al punto da richiedere quel tipo di intervento.

 

 

Il T.S.O. rappresenta un uso consolidato in molte città italiane ed il suo fine coercitivo è dimostrato da molti casi. E’ emblematico quello di Giuseppe Casu, che il 15 giugno 2006 a Quartu (Cagliari) venne prelevato a forza, ammanettato alla barella e portato via per un ricovero coatto in psichiatria, dove morì una settimana dopo per Tromboembolia venosa. Il T.S.O. era stato prescritto solo perché Casu era un ambulante abusivo, una delle professioni – ci si consenta il paragone – che il partito nazionalsocialista considerava ‘asociali.’

Definendo così alcune categorie di persone, i nazisti le punivano e spesso le annientavano con la prescrizione di micidiali Trattamenti Sanitari Obbligatori. Un altro caso rappresentativo di questa terapia dell’orrore è quello di Siamak Brahmandpour, italiano di origini iraniane, biologo all’ospedale di Campo di Marte di Lucca che, il 24 agosto 2007, è stato coattivamente prelevato dal posto di lavoro da quattro medici accompagnati da tre vigili urbani e trasferito nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Pontedera. Il fatto che avesse denunciato ripetutamente episodi di mobbing avvenuti nell’ospedale dove prestava servizio potrebbe aver indotto qualcuno a ritenerlo ‘pericoloso.’

 

 

Quando ci si avvicina all’argomento T.S.O., si deve tener conto di un fatto importante, ovvero che è facilissimo costruire un dossier volto a dimostrare la potenziale asocialità di un soggetto, di qualsiasi soggetto. Un vezzo, un’eccentricità, una piccola mania: chi non ne ha? Eppure, sarebbero potenzialmente sufficienti per giustificare la somministrazione di un Trattamento Sanitario Obbligatorio.

Sette giorni di violenza psichica, magari seguiti da altri sette giorni e altri sette giorni… Uno scenario in cui autorità, professionisti della medicina, ricercatori, case farmaceutiche operano e guadagnano molto denaro, mentre gli studi più moderni dimostrano come sia impossibile anche per i più celebrati specialisti prevedere l’evoluzione distruttiva o autodistruttiva di un soggetto in base a una valutazione del suo comportamento.

Bisogna considerare altresì che il soggetto che manifesta problemi psichici anche gravi non è in realtà – lo dicono casistica e statistica – più pericoloso di chiunque altro ed è solo il pregiudizio a nutrire questa idea tanto diffusa.  Ed è opinabile addirittura la convinzione che la psicofarmacologia e la psicoterapia rieducativa siano in grado di migliorare la condotta dei pazienti.

 

Ricordiamo che, in presenza di comportamenti che integrano gli estremi di reati quali, ad esempio, tentato omicidio, tentate lesioni personali gravi, lesioni personali gravi, il codice di procedura penale dispone che laddove il giudice accerti, a seguito di apposita perizia psichiatrica, la presenza di malattia mentale, è tenuto ad applicare nei confronti del reo la misura di sicurezza del ricovero in Ospedale psichiatrico. Esiste già una apposita disciplina, dettata dal codice penale, sufficiente a rispondere a quest’esigenza.

 

I motivi per combattere la pratica del T.S.O. sono tanti, perché nessuno studio è in grado di dimostrarne anche una minima utilità sociale, mentre innumerevoli sono i danni che produce su esseri umani trasformati in cavie senza diritti. Come se ciò non bastasse, l’inadeguatezza delle procedure, delle competenze e delle strutture trasformano questo strumento pseudo-terapeutico in un pericolo per i soggetti che lo subiscono e in definitiva per l’intera società. Bisogna chiederne l’abolizione con fermezza, in ogni sede istituzionale.

Fonte

 

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