E’ stato il blog “Duro di Sicilia” a scoprire per primo il “grano saraceno” (che non è neanche una graminacea) nella proposta di legge datata 2013 del Movimento Cinque Stelle su “contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari”. Il passo comprendente il “grano saraceno” (al posto di: “straniero”) è peraltro ripreso tale quale da una relazione sulla contraffazione alimentare della scorsa legislatura (vedere a pag.92). La proposta di legge del M5S mira a rendere più difficili le contraffazioni perchè il fatturato del settore agroalimentare, secondo la Coldiretti, è pari a circa 150 miliardi di euro ma “almeno un terzo di questa ingente cifra è ricavato da prodotti che utilizzano materie prime importate dall’estero (…) Un esempio per tutti: la pasta venduta in Italia è prodotta per un terzo con grano saraceno”.
Eh sì. Però senza “grano saraceno£ (o straniero), niente pasta in Italia. Basta interrogare il database della Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione. Primo grafico: i principali prodotti agricoli dell’Italia. Il grano è al secondo posto con 7,7 milioni di tonnellate all’anno.
Ai 7,7 milioni di tonnellate di grano prodotto in Italia bisogna sottrarre le 768.000 tonnellate di grano e farina esportate e bisogna soprattutto sommare i 7,35 milioni di tonnellate di grano e farina importati in Italia, come evidenzia il grafico qui sotto.
Fra produzione ed importazione, sono 14,3 milioni di tonnellate di grano all’anno. Cosa ce ne facciamo? Lo mangiamo quasi tutto, “saraceno” o no che sia. Le esportazioni di pasta sono infatti pari solo a 1,66 milioni di tonnellate l’anno (ne importiamo però 285.000 tonnellate circa).
Tirando le somme, l’Italia consuma grano e farina per circa 13,3 milioni di tonnellate all’anno, mentre produce solo 7,7 milioni di tonnellate di grano. La difesa del made in Italy, per quanto sacrosanta, non può prescindere da questa constatazione.