“Prima di partire per l’Ucraina mi sono proposta per un tirocinio in qualche clinica napoletana, dove hanno deriso la mia specializzazione, non ne erano a conoscenza, mi ridevano in faccia. Un professore continuava a darmi appuntamenti ai quali non si presentava e poi scoprii che se n’era andato in vacanza. Sono andata a fare colloqui a Bologna, Avellino, Verona. Sempre a spese mie, non mi hanno nemmeno offerto un caffè. In Ucraina invece mi hanno fatto fare una settimana di prova interamente spesata da loro. Mi sono subito trovata benissimo. E sono rimasta”. La clinica le ha messo a disposizione anche un appartamento dove trascorrerà il suo primo inverno. “Sì, lo so, lì quando fa freddo fa freddo davvero”, sorride.
È preparata anche a questo. Laurea triennale alla Federico II di Napoli e specializzazione a Teramo, Daniela si dice contenta “del percorso di studi fatto in Italia” dove, spiega, “ho avuto a che fare con docenti seri e preparati. Purtroppo tutto cambia quando un giovane inizia a muoversi nel mondo del tirocinio e del lavoro”. E racconta di aver percepito nei medici italiani “superbia, arroganza e indifferenza. In molti mi chiedevano: ‘Ma cosa ne ricavo a farti fare un tirocinio?’ Ad un certo punto ho pensato che qualcuno volesse dei soldi. Uno mi propose: ‘Fai due anni di volontariato con la mia clinica e forse ti faccio fare una tesi’. Ci si dimentica che far crescere professionalmente un giovane medico è un arricchimento per la collettività”.
Daniela si occupa di embrioni e fecondazione assistita eterologa. Una tecnica vietata in Italia. In Ucraina, invece, è permessa la donazione di embrioni, ovociti e liquido seminale. Nella clinica dove lavora arrivano coppie da tutto il Vecchio Continente. “L’età media dei clienti dell’Europa occidentale è abbastanza alta, le donne italiane ad esempio aspettano molti anni prima di provare ad avere un bambino e quindi si accorgono tardi di avere dei problemi. Le ragazze ucraine invece vogliono diventare mamme molto giovani e vengono da noi anche prima dei 30 anni”. Nel centro di fecondazione assistita ucraino Daniela si è dovuta subito cimentare col lavoro vero, nelle corsie: “Mi hanno subito fatto sentire parte di un team, mi ascoltano, decidiamo insieme i trattamenti migliori. In Italia avrei trascorso i primi anni a portare le bibite o a fare le fotocopie”.
E la vita fuori dalla clinica? “Mi sono ambientata bene, mi trattano con grande gentilezza, soprattutto quando si accorgono che sono straniera”. E quando scoprono che sei italiana? “Beh, qualche volta fanno il nome di Berlusconi e si mettono a ridere, ma in Ucraina hanno stima del nostro paese. Ci apprezzano principalmente per la qualità del cibo, i cantanti, la moda. Non veniamo associati, che so, a un riconoscimento serio della scienza, dell’industria, della cultura”.