di Rodolfo Casadei. Nel nuovo manuale dei professionisti aumentano le sindromi da curare con i farmaci, per la gioia delle case farmaceutiche. E la tendenza è già contagiosa fuori dagli Usa
TUTTI MALATI MENTALI? Gratta gratta, siamo tutti malati mentali. È la conclusione implacabile che si trae dalla lettura (una penitenza per peccatori incalliti: sono quasi mille pagine scritte in inglese) del Dsm 5, la quinta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, redatto da 160 esperti messi insieme dall’Apa, l’Associazione psichiatrica americana. Quando uscì la prima edizione, nel 1952, le psicopatologie censite erano un centinaio. Nel 1968 erano salite a 182; nel 2000 avevano toccato quota 370. Per la quinta edizione, presentata a San Francisco nel maggio scorso, si temeva il peggio. In realtà la cifra assoluta quasi non è cambiata, ma solo perché alcune vecchie voci sono state accorpate. Per esempio la sindrome di Asperger è stata spostata sotto la più ampia e già esistente dizione di “disturbi dello spettro autistico”. Ma 15 nuove voci sono state inserite, fra esse le simpatiche diagnosi che abbiamo evocato in apertura. Il risultato, secondo lo psichiatra e psicanalista francese Patrick Landman promotore in Europa del comitato Stop Dsm 5, è che «se applicassi i criteri del Dsm 5, dovrei dire che il cento per cento dei miei pazienti sono malati mentali. In realtà, solo il 10 per cento di chi viene nel mio studio soffre di un disagio certo e accertabile. Col Dsm 5, non si può più essere normalmente tristi o angosciati, senza cadere nelle reti della psichiatria. La medicina tradizionale scopre le malattie, il Dsm le inventa».
Non è stato più gentile Allen Frances, lo psichiatra americano che aveva presieduto alla revisione del Dsm nel 2000. Nel suo libro Saving Normal, pubblicato come contributo al fuoco di sbarramento contro la stesura in corso del Dsm 5, l’autorevole clinico scrive che il nuovo manuale «etichetterà in modo erroneo persone che sono normali, promuoverà l’inflazione diagnostica e incoraggerà un uso inappropriato dei farmaci. Esso farà sì che milioni e milioni di persone attualmente considerate normali, siano diagnosticate con un disturbo mentale, e ricevano un trattamento e una stigmatizzazione di cui non hanno alcun bisogno». E soprattutto confermerà e conforterà la tendenza già dominante ad affrontare ogni disagio della persona con pillole e farmaci vari.
LE PRESCRIZIONI DI RITALIN. Cosa questo già significhi lo si capisce al volo quando si confrontano i dati sulle prescrizioni di Ritalin in ambito di psichiatria infantile in paesi dove il Dsm è un riferimento obbligato e in paesi dove non lo è, e quando si butta l’occhio ai bilanci dell’industria farmaceutica, capitolo sostanze psicotrope. La denuncia si può leggere nell’appello “Per farla finita con la dittatura del Dsm”, iniziativa nata in Francia due anni fa e da qualche tempo approdata in Italia: «(…) in Francia, quasi 20 mila bambini prendono il Ritalin, siamo ancora ben lontani dai 55 mila bambini inglesi e soprattutto dai 3 milioni di canadesi e dai 7 milioni interessati negli Usa. (…) Le medicine psicotrope rappresentano un mercato estremamente vantaggioso: negli Usa, nel 2004, gli antidepressivi hanno generato 20,3 miliardi di dollari di profitto, gli anti-allucinatori 14,4 miliardi». Il manifesto anti-Dsm sembra confondere i ricavi coi profitti e altre fonti indicano valori un po’ più bassi, ma il legame fra i contenuti del Dsm e il boom farmacologico è difficile da smentire: è, effettivamente, la conseguenza della sua impostazione. Vediamo perché.
IL METODO DEL DSM. Il Dsm dichiara che il suo metodo per l’identificazione delle malattie mentali è “sindromico” e “ateoretico”. Paroloni che significano semplicemente che il manuale descrive insiemi di sintomi senza identificare le cause, e non dice nulla sulle cause perché su di esse non c’è unanimità nel mondo scientifico, bensì diverse teorie e approcci si contendono la spiegazione del disturbo. Quando noi ci troviamo di fronte a una malattia organica, per esempio una polmonite, siamo in grado di dire che essa è il risultato di una infezione prodotta da un virus o da batteri. Ma quando ci troviamo davanti a una malattia mentale, cioè a un disturbo del comportamento umano, vari tentativi di spiegazione appaiono in concorrenza fra di loro: alcuni tentano una spiegazione biologica nel campo delle neuroscienze, altri privilegiano la pista genetica, altri ancora cercano la causa psichica vera e propria. Il Dsm si dichiara al di sopra delle parti e si limita a descrivere i sintomi e a presentarli come sindromi: mentre una malattia è un insieme di sintomi che fanno capo a una causa definita, una sindrome è un insieme di sintomi che possono essere dovuti a cause diverse. Una sindrome, però, non si può curare come tale: se io non riesco più a respirare, un medico rileverà prima di tutto che sono affetto da una sindrome da insufficienza respiratoria, ma poi dovrà cercare di capire se si tratta di una polmonite, di una perforazione dei polmoni, di un problema cardiaco o di un avvelenamento, ecc.: ne va dell’appropriatezza della terapia che userà per guarirmi. Il paradosso delle malattie mentali così come sono presentate nel Dsm è il seguente: si pretende di curare delle sindromi, cioè si interviene sui sintomi a prescindere dalle cause. E come si fa a modificare dei sintomi di cui non si conosce la causa? A botte di psicofarmaci, ovviamente. Così siamo entrati in quella che Landman definisce l’«era della psichiatria clinica farmaco-indotta», nella quale «nuovi farmaci portano alla creazione di nuove diagnosi o alla modificazione di quelle esistenti».
Tutto ciò risponde ovviamente agli interessi economico-finanziari della grande industria farmaceutica e di tutti coloro che da essi sono beneficiati. Ma non è questo, secondo alcuni, l’unico interesse costituito che sta dietro l’egemonia del paradigma medico-biologico che pervade, senza essere apertamente dichiarato, il Dsm.
CONCEZIONE POLITICA DELLA MALATTIA. «Con questo manuale ci ritroviamo in un contesto di concezione politica della malattia», afferma Mario Binasco, psicanalista di scuola lacaniana, docente presso l’Università Lateranense e firmatario di un appello contro il Dsm 5. «Se alle malattie mentali si riconoscesse il loro statuto propriamente psichico, soggettivo e relazionale, verrebbe meno quella maneggiabilità sociale della malattia che si è affermata dalla Rivoluzione francese in avanti. Le categorie del Dsm sottintendono una concezione gestionale, manageriale della società. Ci si prende cura della società, ma secondo il discorso della scienza e della tecnologia, che è un discorso di gestione globale della società che prescinde dalla soggettività degli esseri umani. È la tecnoscienza che sostituisce la soggettività. Ecco perché i farmaci capaci di incidere sui comportamenti diventano la cosa più importante: c’è un interesse politico al controllo farmaceutico dei comportamenti della società».
L’INFLUENZA NEL RESTO DEL MONDO. La situazione è grave a causa del fatto che il Dsm non è una faccenda prettamente americana, ma rappresenta di fatto il canovaccio del capitolo sulle malattie mentali dell’Icd (International Classification of Diseases), il manuale ufficiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) in materia di malattie, giunto alla decima revisione. D’altra parte è evidente che nel mondo globalizzato la potenza politica, economica, militare e scientifica degli Stati Uniti fa sì che ciò che si decide lì finisca poi per prendere piede almeno nelle parti del mondo più culturalmente affini, ovvero in Occidente.
Da qui il discreto fuoco di sbarramento che ha accompagnato la sua pubblicazione. Negli Usa la Società Americana di Psicologia ha raccolto 12 mila firme di suoi affiliati in calce a una lettera aperta che chiede di modificare l’impostazione del manuale. Nelle Americhe e in Europa sono sorti comitati e iniziative di protesta: Stop Dsm 5, Committee to Boycott the Dsm 5, The International Dsm 5 Response Committee e altri ancora. In Italia l’adesione alla campagna anti-Dsm è stata promossa quasi due anni fa da cinque psicanalisti: Mario Binasco, Mariela Castrillejo, Alessandra Guerra, Massimo Recalcati e Sarantis Thanopulos. «Nella sua introduzione il Dsm vuole essere ideologicamente ateoretico nella descrizione dei “disordini mentali” e per questo motivo ha eliminato qualsiasi riferimento alla psicanalisi e alla causalità psichica», hanno scritto in una lettera aperta. «Cosa comporta l’eliminazione di una qualsiasi causalità psichica? Eliminando la causalità psichica, il Dsm impone di riflesso la causalità organica. La causalità organica impone come terapia l’utilizzo massiccio e indiscriminato di psicofarmaci da parte degli “operatori”. La superficialità e la pretesa ateoretica di questo manuale, il predominio della “pseudoscientifica” causalità organica e psicofarmacologico, la medicalizzazione della sofferenza psichica, l’eliminazione programmatica della parola e della psicanalisi, sono solo alcuni elementi che rendono particolarmente pericoloso il Dsm per milioni di esseri umani».