I sintomi sono impressionanti, scrive Giorno nel suo blog, e ci arrivano con bollettini medici a cadenza quotidiana. Problema: chi li dovrebbe aggredire «con dosi chemioterapiche da cavallo» non sembra neanche in grado di leggere le analisi cliniche. Lo dimostra il caso di Anna Maria Cancellieri, «cui
Eccoli, davanti a noi, «i mille boiardi di Stato che, in ogni intercettazione resa pubblica, trescano con funzionari e impresari corrotti e licenziano o trasferiscono i veri e residuali servitori dello Stato, definiti “rompicoglioni” o anche “terroristi” per il solo fatto di volersi occupare del “rispetto delle regole”». E infine, ci sono «gli “esponenti di spicco” di mafie sempre più multinazionali e sempre più legate al più globale dei mondi, quello della finanza dominante, per cui il denaro non solo non è mai puzzato, ma per cui oggi pare emanare odore di incenso… come solo Papa Bergoglio pare voler denunciare». In uno scenario che neanche Dante poteva forse immaginare, continua Giorno, ostinarsi a indagare sull’esistenza di una “trattativa Stato-mafia” parrebbe superfluo, «essendo chiaro che semmai c’era da rivedere solo qualche aspetto di un accordo consolidato ma turbato dal mancato
Né deve stupire che sia stata secretata per anni l’esplosiva confessione del super-camorrista Carmine Schiavone, che avrebbe comportato un cataclisma più devastante dell’eruzione del Vesuvio: «Indagare su due terzi dei vertici industriali del paese collusi con i Casalesi, sbattere alla gogna politici oggi ai massimi vertici istituzionali e trovare decine di miliardi non per graziare Brunetta dall’Imu, ma per bonificare milioni di ettari di terreno da cui ci arrivano in tavola i meglio prodotti della dieta mediterranea, dalle mozzarelle di bufala alla passata verace di pomodoro San Marzano». Quello delle “tre C2” – casta, cosca e cupola – per Claudio Giorno resta uno scenario infernale. Basta dare un’occhiata a quello che è appena successo a Palermo: le minacce appena riecheggiate contro il procuratore Nino Di Matteo, finito esplicitamente nel mirino degli “amici” di Totò Riina, «non preoccupano tanto per chi le ha pronunciate, ma per il silenzio assordante – ancorché istituzionale – che le ha accolte». In altre parole: senza la “cupola”, quella vera, le cosche sarebbero in prigione. Quanto alla “casta”, sarebbe costretta a trovarsi un lavoro onesto.