L’ultimo giorno del mese di agosto del 2013 ci sveglia con un’impressione che sa già di settembre. L’aria è tersa e il cielo blu come solo in certe giornate di vento forte, ma si avverte appena un po’ di brezza. Una lunga nuvola, bianca, si solleva dai pascoli più alti e verticali a far da collana alle cime del Massiccio d’Ambin, prologo delle Alpi francesi. Ma se si abbassa lo sguardo al piano stradale sembrerebbe piena estate: molte saracinesche ancora abbassate, qualche turista mattiniero sorseggia lentamente un cappuccino per portarsi oltralpe l’aroma del caffé italiano… Alle nostre latitudini fa così tutti gli anni: i primi temporali si sono portati via il “caldo africano” (un’ondata che quest’anno è stata breve ma particolarmente intensa). Ma l’Africa incombe. Il suo nord tumultuoso, la tormentata terra di tutti e di nessuno che una volta chiamavamo medio oriente ribolle di giovani che danno vita a primavere ormai ricorrenti anche se i vecchi tentano di congelarli in un inverno arido come il deserto che li circonda. Un inverno innaturale, ardente, e le cui fiamme paiono divampare per un turno stabilito dal dio dei piromani, mandando in cenere – una dopo l’altra – le culle della civiltà euromediterranea. Oggi tocca alla Siria.
Non mi intendo di geopolitica (ma chi se ne intende per mestiere non mi pare che sappia indagare le cause vere come ci si aspetterebbe. Soprattutto
E in una mail precedente aveva ammonito: «I tamburi della nuova guerra coloniale di rapina stanno suonando contro la Siria. Hanno creato da hoc il casus belli, come gli Usa hanno già fatto tante altre volte con altri paesi del mondo. I media mainstream, che si rivelano ogni volta sempre più spregevoli e menzogneri, stanno aiutando la coalizione delle potenze neo-coloniali a far credere a miliardi di esseri umani, ancora una volta, che esista un cattivo – il regime di Assad – da distruggere a favore di buoni – i
In questi ormai lunghi anni vissuti in un movimento che si è fatto comunità o forse in una comunità in movimento che non si occupa “solo di opporsi a un treno” (sia detto per Bersani che forse non lo ha capito neanche dopo essere stato licenziato in tronco dal presidentenapolitano tra un settennato e l’altro) abbiamo accettato con entusiasmo le tante contaminazioni che la cosa ha portato con sé. Gianluca Solera che (dopo aver coordinato per dieci anni l’attività della fondazione Anne Lindh che si occupa di politica euromediterranea) sta per pubblicare un libro sulle somiglianze che accomunano i movimenti nati sulle sponde nord e sud, est e ovest del vecchio mare nostrum. Somiglianze, se non nelle modalità, nelle speranze che agitano le persone che non accettano più “le verità preconfezionate” e di essere i terminali delle ormai permanenti o ricorrenti situazioni di crisi (rese tali perché funzionali al progetto di allargamento delle disuguaglianze tra esseri umani). Grazie a lui Lisa Ariemma (che come lei stessa si definisce è una giornalista canadese, ricercatrice e attivista No Tav che segue il movimento dal 2005 e vive a Meana di Susa, dopo aver partecipato a una settimana di incontro e di studio a Lussemburgo, due anni fa, è stata invitata a Bilin ad essere testimone (e partecipe) della lotta nonviolenta guidata da
Abdallah è stato rinchiuso in carcere per 18 mesi, senza aver commesso nessun reato, e l’allora portavoce dell’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Catherine Ashton, scrisse una lettera rivendicando il suo rilascio chiamandolo «un difensore dei diritti umani impegnato nella protesta non-violenta». E Abdallah è venuto in val di Susa nel gennaio 2013 con l’ex-vicepresidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini, ha scritto Lisa in una accorata lettera di protesta al direttore de “La Stampa” per le illazioni quotidiane dei cronisti di “nera” cui è stata appaltata l’operazione di revisionismo storico con cui si diffama il nostro movimento. Per questo, in una mattina serena in mezzo alle Alpi, pare di sentire anche qui l’apprensione dei cittadini di Damasco che – comunque la pensino e con chiunque siano schierati – attendono con ansia crescente che piova… Che piovano missili su obiettivi troppe volte scelti chirurgicamente e quasi sempre colpiti nel mucchio…
Per questo è inutile che il primo presiedente nero della storia degli Stati Uniti d’America si richiami continuamente a Martin Luther King, con o senza
(Claudio Giorno, “Aspettando la prima salva di missili su Damasco”, dal blog di Giorno del 31 agosto 2013).