Un orto, una comunità, una fede

ortoTre concetti che aprono tanti sentieri, ma che si ricongiungono in vista di un unico grande obiettivo: ritrovare l’equilibrio. Con se stessi, con gli altri e con il Tutto.

Il titolo di questo articolo è preso da un saggio di Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la decrescita felice in Italia, contenuto nel suo libro Monasteri del terzo Millennio.

A sua volta, Pallante ha ripreso questa formula da Teddy Goldsmith, al quale fu chiesto da un giornalista di individuare tre idee essenziali da trasmettere a suo figlio. Dopo aver risposto sbrigativamente a quella domanda, ne fu assillato tutto il giorno, fino ad arrivare a questa formula, tanto semplice quanto completa. È evidente come gli uomini, nella post-modernità, siano colti da un malessere quotidiano. Come ha osservato il sociologo Zygmunt Bauman, chi più chi meno, “turisti” o “vagabondi”, tutti vivono in uno stato precario, assoggettati all’imperante «consumante desiderio di consumare».  Questa degenerazione trova la sua massima espressione nel modello liberal-capitalista odierno, progressista e materialista, dove i mezzi sono stati scambiati per fini, nel senso che, come ha messo in luce Pallante in una sua intervista, «non si produce più per consumare, ma si spingono le persone a consumare per continuare a produrre». Un sistema malato, all’interno del quale le persone sono sempre più stressate dalla dannata routine, per poi sfogarsi in piaceri tanto illusori, quanto nocivi (basti pensare all’uso/abuso di droghe). Il bisogno tossicomane di comprare sempre più è il riflesso di una società che si fonda non sull’essenza, ma sull’apparenza: compriamo invece di essere. La nostra società, volendo crescere in maniera infinita all’interno di un Pianeta evidentemente finito, ha perso qualsiasi forma di equilibrio con ciò che la circonda e ha trasformato i suoi abitanti da animali sociali, legati da una rete di rapporti solidali e reciproci, in atomi sparsi nel nuovo mondo globalizzato.

Per questo, la “crisi” odierna, prima di essere un fattore puramente economico, appartiene all’ambito culturale e sociale. È solamente attraverso la riscoperta di se stessi che si può pensare di uscire da questo buio, dove le banche contano più delle comunità e i mercati più delle persone. Ma questa rivalutazione non può prescindere dal legame che il singolo ha con gli altri (in quanto animale sociale) e con ciò che lo circonda (visto che ogni cosa è in connessione all’altra). Queste non vogliono essere parole dal retrogusto new age, pescate da chissà quale santone asiatico: esse si rifanno a tradizioni europee, da Aristotele a Sant’Agostino (solo per citare due esempi), che non potevano concepire l’uno scisso dalla Totalità, la parte senza il Tutto. La formula un orto, una comunità, una fede indica il percorso da seguire per tendere verso questo obiettivo.

Lavorare il proprio orto è una delle esperienze più gratificanti che un essere umano possa fare. Come osserva Pallante nel suo saggio: «L’agricoltura, nel significato etimologico di venerazione della terra, è l’attività che consente agli esseri umani di partecipare alla riproduzione della vita». Un’attività (che rimanda a concetti quali autoproduzione e consumo critico) pura, originaria, perfino Sacra, soprattutto se portata avanti in un contesto comunitario, dove la reciprocità e la solidarietà costituiscano le basi di relazioni sociali autentiche. Una comunità fondata sulla forza della tradizione, ma anche sulla spinta dell’innovazione, necessaria per proiettarsi nel futuro, senza dimenticare il passato. In questo contesto, la tecnologia ridiventerebbe un mezzo, tornando a svolgere il ruolo che più le compete e lasciando posto a fini più grandi. Del resto, come osserva Pallante: «La dimensione spirituale degli esseri umani si può valorizzare solo dedicando il meglio di sé, delle proprie energie e delle proprie capacità, la propria intelligenza e la propria sensibilità a un’idea forte, capace di dare un senso alla vita. Solo una fede può evitare di essere risucchiati nell’appiattimento materialistico in cui l’economia della crescita trascina gli esseri umani». Queste tre idee, se prese complessivamente, formano un circolo virtuoso, consapevole, solidale e spirituale. Illustrano un percorso da intraprendere nel corso del tempo, con ritmi e scelte che variano da persona in persona: «L’importante è coglierne il valore universale e capire quali indicazioni se ne possano trarre oggi per superare la crisi economica, ambientale, ma soprattutto di senso, generata dall’economica della crescita» (Pallante). Nella speranza che l’uomo possa ritrovare se stesso e riscoprire ciò che di bello vive sulla Terra.

di Lorenzo Pennacchi

Fonte: L’intellettuale dissidente

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