L’Inghilterra è l’eterna spina nel fianco dell’Europa

 

 L’Europa: questa curiosa appendice delle Isole Britanniche!

Decisamente Dio doveva essere un po’ stanco, o lievemente distratto, quando ha creato quel bizzarro continente che i “gentlemen” inglesi, come è ovvio, guardano dall’alto in basso, tanto è evidente la sua congenita inferiorità e, come se non bastasse, l’eterna rissosità e propensione al disordine dei suoi abitanti, al segno di costringere loro, i Britannici, a intervenire ogni volta che i discoli si fanno un po’ troppo vivaci, come il buon maestro che non disdegna la bacchetta.

 

Così hanno fatto con Filippo II di Spagna, con Luigi XIV di Francia, con Napoleone Bonaparte, con il Kaiser Guglielmo II, con Hitler: e ogni volta hanno imposto le orecchie d’asino al discolo, dopo averlo ricondotto nei ranghi, pretendendo la gratitudine di tutti i popoli europei, amici e nemici, per averli liberati dalla terribile minaccia, ripristinando i sacri diritti del cittadino e la libertà di commercio – del commercio inglese, s’intende. Ultimamente hanno spinto la loro bontà e la loro dedizione alla causa della pace mondiale al punto d’impegnarsi ancora più lontano, dai deserti dell’Iraq alle montagne dell’Afghanistan; sempre in perfetta intesa con il solo altro popolo al mondo che, pur non essendo composto di “gentlemen”, è però nel complesso abbastanza affidabile e serio, essendo di origine anglosassone: quello statunitense.

 

Gli Europei, del resto, sono dei grandi ingenui, degli autentici bambinoni. Quando fanno la coda per assistere a un film di James Bond e vedono il mitico Agente 007, o i suoi diretti superiori, pronunciare quelle frasi ampollose e compiaciute sulla perfetta organizzazione britannica, sulla perfetta efficienza britannica, sull’insostituibile ruolo mondiale svolto dal governo britannico e dalla civiltà britannica, credono che si tratti di frasi scherzose, tanto più che vengono pronunciate con un sorriso che essi scambiano per auto-ironico. Niente di più lontano dalla verità, ed è proprio questa la dimostrazione della cronica rozzezza e inciviltà degli Europei: pensare che un Inglese, per di più membro dei servizi segreti, si permetterebbe mai di scherzare VERAMENTE su Sua Maestà la Regina, o sulla Patria britannica o su qualunque altra cosa che sia britannica.

 

Gli altri Europei, del resto, generalmente si vergognano del proprio nazionalismo, e fanno benissimo: perché è il nazionalismo di popoli cronicamente inferiori, che ha prodotto solo lutti e macerie nella storia mondiale. Ma per un Inglese, essere nazionalista non è affatto disdicevole; anzi, l’Inglese è talmente imbevuto di mentalità nazionalista, che non ha neppur bisogno di adoperare questo termine (che, diciamolo pure, ha in sé qualcosa di sgradevole). Ci spieghiamo: il nazionalismo è una brutta cosa quando viene sentito e manifestato dai popoli non anglo-sassoni, e specialmente non-inglesi; ma per il popolo migliore del mondo, quello inglese (con la sua appendice nordamericana e con le sue clonazioni canadese, australiana e neozelandese) non è una brutta cosa, anzi non è neppure nazionalismo: infatti, che l’eccellenza debba proclamarsi tale, è perfettamente superfluo. L’eccellenza viene riconosciuta da tutti, è qualcosa di auto-evidente. Pertanto, che l’Inglese sia il solo vero “gentleman” in un mondo di stupidi e goffi bestioni, in una Europa di sudici attaccabrighe, è cosa talmente chiara e lampante che non c’è bisogno di spiegarla ad alcuno. Anzi, è meglio non parlarne neppure: come non è segno di buona educazione parlare in pubblico del nipote mongolide o del figlio alcolizzato del vicino di casa. I poveretti sono già castigati abbastanza dalla Provvidenza, non c’è bisogno di rigirare il coltello nella piaga. Ecco perché l’Inglese non ha bisogno di essere nazionalista: non serve che ostenti la propria eccellenza. Che egli sia superiore a tutti gli altri, è cosa che non abbisogna di dimostrazione.

 

Osservavano, in proposito, i giornalisti David Frost e Anthony Jay, quattro decenni or sono, quando non esisteva ancora l’Unione europea, ma solo il Mercato comune europeo, nel libro scritto a due mani «L’Inghilterra e i nuovi inglesi» (titolo originale: «The English», 1967; traduzione dall’inglese di H. Cooper e M. Binazzi, Milano, Rizzoli,  1969, pp. 185-92):

 

 

«Tutte le forme di governo che il nostro Paese ha avuto nel corso dei secoli, si trattasse della monarchia, di un’aristocrazia di nobili, del parlamento, o dell’amministrazione statale, hanno avuto in comune un obiettivo: tenerci lontani dall’Europa e tenere l’Europa lontana da noi. Per questo l’Inghilterra ha sempre adottato la semplice ed in genere efficace politica di incoraggiare quelli del continente ad azzuffarsi tra di loro permettendoci così di starcene in pace. Soltanto quando un Paese diventava troppo efficiente nel dare addosso agli altri abbiamo considerato necessario occuparci dell’Europa, e i grandi eroi dell’Inghilterra moderna – Marlborough, Wellington, Nelson, Kitchener, Montgomery, Lloyd George, Churchill – sono infatti tutte persone che hanno messo al loro posto con fermezza dei continentali presuntuosi. Certo, abbiamo sempre agito in nome di nobilissimi principi. Non abbiamo mai detto apertamente che in realtà cercavamo di tenere l’Europa divisa e impotente. […]

 

La nostra convinzione di essere naturalmente superiori  agli altri europei è sempre stata data per scontata durante i negoziati e le discussioni in merito alla nostra adesione al Mercato comune. Nessun uomo politico, giornalista o persona che potesse in qualche modo influenzare l’opinione pubblica inglese ha mai parlato della nostra unione con l’Europa come di una cosa simpatica. Hanno detto che sarebbe vantaggiosa per l’industria, che salverebbe le nostre imprese in difficoltà e ormai non più competitive, che sarebbe una mossa in accordo con i tempi, saggia e meritoria. Ma nemmeno i fautori più ardenti dell’integrazione hanno mai avito il coraggio di dire che sarebbe una bellissima cosa, che questi rapporti più stretti con gli europei sarebbero stimolanti e divertenti e ci darebbero una vita più piena. E non l’hanno detto perché in Inghilterra nessuno ci crederebbe. […] A noi hanno sempre insegnato che l’Europa è composta di furfanti e di idioti che hanno passatoi la maggior parte del tempo a ritirarsi in modo disordinato davanti ai nostri eserciti e alla nostra marina. […] Quindi c’è forse da meravigliarsi se l’atteggiamento inglese verso il Mercato comune è di considerarlo come qualcosa di penoso, di sgradevole e di umiliante che deve essere preso in considerazione solo perché ci offre l’ancora di salvezza per uscire dalla nostra recessione economica?  […] La supposizione che i continentali abbiano in qualche modo scoperto i segreti del successo commerciale e dell’espansione industriale, sfuggiti invece agli inglesi che pure sono persone tanto in gamba, non è verosimile. Basta guardare quello che fanno! Guidano dalla parte sbagliata della strada; il loro denaro è fatto di robaccia che pare latta oppure con pezzetti di carta straccia sporca; adoperano un sistema illogico di pesi e misure; fanno le moine ai loro bambini, e anche fra di loro, proprio come ci si può aspettare da un continente che ha prodotto gente come quello sporcaccione di Freud; barbugliano e gesticolano come se fossero tutti dei comici di varietà; non danno da mangiare ai loro gatti e non addestrano i loro cani, mentre sembra che vadano matti per le capre; ognuno di essi, senza eccezione, pensa solo a spillare quanto più denaro possibile ai turisti inglesi, dando loro in cambio il meno possibile. E, come se tutto ciò non bastasse, si comportano come se fossero a casa loro. Ma ciò che più sorprende è che non sembrano neppure accorgersi di quello che perdono a non essere inglesi. Continuano, come se nulla fosse, a mangiare i loro cibi bizzarri, a parlare le loro lingue assurde, a girare dei film licenziosi e a comportarsi in modo maleducato con gli inglesi; e il tutto sempre con l’alti che puzza d’aglio. Il fatto che, nonostante tutti questi loro difetti, noi si fosse disposti ad abbassarci a far pare del loro squallido club di periferia era veramente una testimonianza del nostro spirito di tolleranza e del nostro innato buon senso. Ma è successa una cosa incredibile. Loro non ci hanno voluti! Ripensandoci, però, forse non è tanto strano dopo tutto,. Abbiamo sempre saputo che persone ingrate siano gli stranieri, per quanto bene li si tratti. […] Naturalmente noi inglesi non avremmo niente da obiettare contro l’idea di far parte di un’Europa più ampia e unificata; ma non è forse chiaro come la luce del sole, anche per uno straniero, che inevitabilmente saremmo noi i primi della classe? Ciò è talmente evidente che nessuno lo potrebbe mettere in dubbio. Tuttavia il nostro non sarebbe veramente un comandare, non è questo che pensiamo, dato che il comandare presupporrebbe un’azione unitaria e delle mete precise da raggiungere. No, in realtà non comanderemmo, ma presiederemmo. Gli inglesi accettano l’idea che il gruppo dovrebbe essere legato da nobili intenzioni, ma è chiaro che nessuna nazione, e tanto meno l’Inghilterra, dovrebbe essere costretta a cambiare le proprie abitudini per far piacere alle altre. Il gruppo non dovrebbe fare o significare nulla di preciso. Ci rendiamo perfettamente conto che è necessario che i dirigenti degli Stati membri del Mercato comune  parlino di un’Europa in cui, un giorno, il sentirsi europei avrà un significato maggiore che il sentirsi francesi o olandesi o tedeschi e così via, ma d’altra parte non è un po’ ridicolo che voler fingere di essere europei o qualsiasi altra cosa del genere possa mai significare qualcosa di più che essere inglesi? […] Infatti, la soluzione ideale per tutte queste sciocchezze del Mercato comune, dell’Europa, della terza forza [sottinteso fra Stati Uniti e Unione Sovietica; nota nostra] e dell’equilibrio di potere salta agli occhi. Gli europei dovrebbero entrare nel Commonwealth. Avrebbero così’ molti dei vantaggi, ora negati loro, che derivano dall’essere quasi inglesi; potrebbero far parte di una associazione commerciale, cosa questa che sembra divertirli tanto; potrebbero usufruire della superba burocrazia di Whitehall; e potrebbero infine presentare le loro candidature per ricevere ordini cavallereschi o per essere fatti Pari. E oltre a tutto potrebbero godersi anche la camera dei Lords! Ma cosa vogliono di più?!»

 

 

Ma i tristi tempi in cui gli Europei pretendevano di continuare a parlare le loro orribili lingue e di vivere alla loro insolente maniera, grazie a Dio, sono ormai quasi finiti: presto apparterranno al passato, un passato da dimenticare pietosamente. Poco alla volta, con il robusto aiuto “yankee”, che va dalla Coca-Cola a McDonald’s, tutta l’Europa si sta aprendo ai benefici effetti della anglicizzazione, e verrà il giorno in cui la memoria delle sgradevoli lingue aborigene, delle scadenti scuole aborigene, delle deplorevoli abitudini aborigene, sarà relegata per sempre nelle nebbie delle epoche barbare. No, per carità, non parliamo di colonizzazione culturale: perché quando l’apporto di civiltà e di benessere è così evidente, non si tratta di questo, ma di ben altro: si tratta di una gloriosa missione filantropica.

Ci son voluti quattro secoli, ma alla fine quegli zucconi dei continentali hanno compreso e hanno dovuto riconoscere l’incomparabile superiorità, anche culturale, dei discendenti di Shakespeare e di Francis Bacon; hanno dovuto ammettere che qualunque complesso musicale, accanto ai Beatles o alle Spice Girls, non è che una rozza e patetica caricatura; che qualunque film, accanto a «Il Dottor Živago» e «Gandhi», è una scadente imitazione, o peggio; che qualunque romanzo, a fronte de «La signora Dalloway» o dell’«Ulysses», è semplicemente ciarpame, balbettio, qualcosa di simile allo spettacolo di una scimmia che tenta d’imitare l’uomo. Meglio tardi che mai.

 

Del resto, non è evidente?, la geografia stessa ha voluto così, che è quanto dire i piani della divina Provvidenza. La Gran Bretagna è posta in maniera da controllare gli accessi vitali al continente, le foci dei grandi fiumi: tutti i Paesi che si affacciano sul Mare del Nord e sul Mar Baltico, per non parlare dei quelli che si affacciano sul Mediterraneo (da quando Gibilterra è una roccaforte inglese), dipendono dal buon volere britannico per tutto ciò che riguarda il loro commercio internazionale e quindi, in ultima analisi, per la loro effettiva sovranità e indipendenza. Se Dio non avesse voluto questo, non avrebbe dato agli Inglesi le chiavi del continente europeo; senza contare che non li avrebbe così palesemente sostenuti nelle loro guerre per la civiltà, nel loro faticoso ma encomiabile impegno a sostenere il fardello dell’uomo bianco, mentre conquistavano e sfruttavano l’impero coloniale più vasto e più ricco della storia mondiale.

 

E allora, mettiamoci l’anima in pace: va bene così. Presto l’inglese diverrà la nostra lingua madre  e verrà insegnato nelle scuole europee prima dell’italiano, del francese, del tedesco; presto le banche europee diverranno delle semplici filiali della Banca d’Inghilterra; e presto tutti quanti potremo godere degli impareggiabili vantaggi della cittadinanza britannica. I nostri figli potranno recarsi ai soggiorni-studio in Inghilterra a prezzi di favore, come è giusto per degli affezionati e volonterosi “clientes”. E chissà, forse diverremo tutti sudditi felici e contenti di re William e della dolce Kate…

 

di Francesco Lamendola – 10/11/2013

Arianna Editrice 

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