Le 15 aziende della moda che non hanno firmato per migliorare la sicurezza sul lavoro in Bangladesh

– Marta Albè –

Il Bangladesh è una delle zone del mondo dove l’industria della moda basa gran parte della propria produzione ed in cui i diritti dei lavoratori, con particolare riferimento alla sicurezza sul luogo di lavoro, vengono scarsamente rispettati. E’ stato presentato un accordo per il miglioramento della sicurezza sul luogo di lavoro, denominato Accord on Fire & Building Safety in Bangladesh, che numerosi marchi e distributori del mondo della moda non hanno ancora deciso di sottoscrivere.

Numerose aziende, non sottoscrivendo l’accordo, starebbero rifuggendo dal dichiararsi tenute a rispondere legalmente delle condizioni di lavoro nelle fabbriche del Bangladesh di cui si servirebbero. Lo scorso 24 aprile, 1127 operai impiegati in una fabbrica di abbigliamento sono morti a seguito del crollo dell’edificio Rama Plaza. Sono in totale 15 le aziende che spiccano per la propria opposizione all’adesione all’accordo, secondo quanto riportato da parte di Ecouterre.

1) Gap ha al momento deciso di non sottoscrivere l’accordo. Pare che l’azienda aderirebbe all’accordo soltanto se esso risultasse non vincolante. Il comportamento di Gap si discosta da quanto posto in campo da marchi rivali, come Zara, H&M e Mango, i quali hanno deciso di impegnarsi economicamente per la realizzazione di opere per il miglioramento della sicurezza sul lavoro in Bangladesh.

2) Walmart, tra i maggiori distributori di abbigliamento, avrebbe bloccato una proposta di coinvolgimento globale dei rivenditori nell’offrire aiuto al fine di migliorare la sicurezza elettrica e rispetto agli incendi nelle fabbriche del Bangladesh, continuando ad opporsi alla firma di qualsiasi accordo di responsabilità.

3) Fast Retailing, il maggior rivenditore d’abbigliamento asiatico, ha dichiarato di non aver ancora deciso se aderire all’accordo per migliorare la sicurezza sul lavoro in Bangladesh. La compagnia preferirebbe agire da sé in merito, rimanendo al di fuori dell’accordo.

4) Target ha deciso di rinunciare alla firma dell’accordo di sicurezza, a favore di un proprio insieme di proposte per il miglioramento degli standard, proseguendo lungo la strada già intrapresa in precedenza.

5) Sears avrebbe dichiarato il proprio rifiuto alla firma dell’accordo, rivolgendosi in sostituzione di esso ad una discussione preliminare per l’individuazione di una alternativa insieme ad associazioni di distribuzione commerciale situate in Nord America.

6) Macy’s si aggiunge ai distributori che hanno deciso di seguire la propria strada, sostenendo che meno del 5% dei capi d’abbigliamento che portano il proprio marchio siano prodotti in Bangladesh, con l’intento di proseguire ad assicurare elevati standard di sicurezza per i lavoratori.

7) Koll’s, pur non apparendo intenzionata a firmare l’accordo, sostiene come si stia già impegnando per assicurare che i prodotti venduti vengano realizzati secondo condizioni etiche. Starebbe inoltre partecipando ad un differente accordo proposto da parte della National Retail Federation.

8) Forever 21 probabilmente non firmerà alcun accordo relativo alla sicurezza dei lavoratori del Bangladesh, secondo quanto ipotizzato da parte di Ecouterre, né altri accordi che possano favorire la tutela dei lavoratori.

9) American Eagle è membro della Fair Labor Association, un’agenzia di monitoraggio indipendente che conduce valutazioni esterne rispetto alle condizioni dei lavoratori nelle aziende. Nonostante American Eagle dichiari che i propri operai debbano essere trattati con dignità e rispetto, non appare al momento tra i firmatari dell’accordo.

10) Carter’s è tra i distributori d’abbigliamento che non firmerà l’accordo per il Bangladesh. In precedenza Carter’s sarebbe già stata coinvolta in episodi di sfruttamento dei lavoratori e nell’incendio in uno stablimento del Bangladesh che ha provocato la morte di 29 operai, ai quali era stato impossibile fuggire per via della chiusura a chiave delle porte di accesso alle scale.

11) The Children’s Place nega che i propri prodotti fossero in corso di fabbricazione all’interno dello stablimento Rana Plaza al momento del crollo. Eppure, tra le macerie sono stati ritrovati documenti ed etichette che riconducono alla catena di distribuzione, che vanta oltre 1000 punti vendita.

12) Foot Locker, nonostante la propria presenza significativa in Bangladesh per la produzione di abbigliamento sportivo, distribuito in oltre 1900 negozi in 21 Paesi del mondo, ha negato la propria partecipazione all’accordo.

13) JCPenney è una delle catene di negozi i cui prodotti venivano fabbricato all’interno di That’s It Sportswear, la fabbrica che prese fuoco in Bangladesh nel dicembre 2010, ed è allo stesso tempo partner di Joe Fresh, i cui prodotti erano in corso di realizzazione presso Rana Plaza al momento del crollo. Si occuperà di effettuare personalmente ispezioni di sicurezza, ma al momento non si trova tra i firmatari dell’accordo.

14) Aéropostale non ha rilasciato alcuna dichiarazione riguardante la firma dell’accordo o il rifiuto dello stesso. La produzione dei capi di abbigliamento del marchio avviene in un insieme di Paesi in via di sviluppo, compreso il Bangladesh.

15) VF Corp, che possiede The North Face, Timberland e Wrangler, sta attualmente ancora utilizzando una fabbrica del Bangladesh, in cui gli ispettori di Walmart e Inditex (che comprende, tra gli altri, il marchio Zara) avevano evidenziato nel corso di questo mese crepe nelle pareti.

Fonte e foto: Ecouterre.com

http://www.greenme.it/consumare/mode-e-abbigliamento/10604-aziende-non-hanno-firmato-petizione-bangladesh

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