Zingaro di merda. La banalità del male

rom

di Matteo Saudino*

Questa mattina al semaforo ho gridato “muto, zingaro di merda!” ad un automobilista che mi ha prepotentemente strombazzato con il clacson appena è scattato il verde. Ma poiché il signore al volante non era un rom o sinti, non si è trattato di un insulto violento a sfondo razziale e discriminatorio,

era solo un’espressione un po’ volgare, dettata da un comprensibile stress derivante dalla guida. Chi nella vita non ha dato dello zingaro di merda a qualcuno, insomma può capitare, d’altronde sono sporchi, rubano e non pagano la luce.

Poi giunto a scuola ho dato dell’ “ebreo schifoso” ad un vecchio che mi ha soffiato il parcheggio. Il signore era piemontese, pertanto il mio insulto non era di volontariamente di carattere antisemita, ero solo uno sfogo esagerato e forse maleducato, figlio di una situazione oggettivamente sgradevole.

Infine, salendo le scale del mio istituto, ho urlato “ma guarda dove vai, finocchietto” ad uno studente mal vestito che mi ha urtato con il suo lurido zaino tutto scritto. In realtà, il giovane allievo non è omosessuale, dunque la mia uscita verbale non è stata discriminatoria e omofoba, si è trattato solo di un epiteto colorito, probabilmente volgarotto, ma nella nostra cultura virile e verace dare del frocio a qualcuno rientra nella goliardia.

de

Non è il caso di fare una polemica per ogni cosa, sono altri i problemi dell’Italia. Basta con questo politically correct. Dare del negro Balotelli o definire quattro lesbiche le calciatrici italiane non è discriminazione, rientra nei modi di dire un po’ scollacciati di noi italiani sempre e comunque brava gente.

So di essere noioso e ripetitivo, ma nella settimana in cui le istituzioni politiche e scolastiche celebrano la giornata della memoria, lo scarto tra quello che ufficialmente si proclama e si insegna e quello che concretamente si pratica è sempre più ampio e preoccupante. Oggi, mentre lavoravo con i miei studenti sul senso del 27 gennaio, mi sono, ancora una volta, amaramente reso conto della stringente attualità della lezione sulla banalità del male di Hannah Arendt. Il nostro linguaggio nasconde la normalità della discriminazione e la banalità della violenza razziale. Si dice, si fa, è così, non esageriamo, si è sempre detto, si è sempre fatto, sono solo parole. Come se a progredire dovesse essere solo la tecnologia e non il nostro grado di civiltà e di convivenza. Da Tavecchio a Sarri, da De Rossi a Sacchi, dal bar al tram, dalla scuola allo stadio, dagli uffici al mercato, con una soluzione di continuità disarmante, siamo sempre pronti a banalizzare e a legittimare gli istinti più violenti e le frasi più feroci. Sui social network si moltiplicano gli inviti giocosi a bruciare gli zingare e si brinda ai barconi che affondano. Così con leggerezza e banalità. Con gratuita cattiveria, offendiamo e insultiamo usando quotidianamente parole che rimandano a popoli e minoranze che hanno subito, per secoli, violenze, persecuzioni, stermini e discriminazioni quasi sempre ad opera della nostra razionale, bianca, cristiana, civiltà occidentale.

Buona giornata della Memoria a tutti.

* docente di storia e filosofia a Torino

Fonte

Share Button

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.