Una scuola senza voti e merito

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di Claudia Fanti, maestra

Senza voti si può

Sono sicura, anche se controcorrente nell’attuale momento “storico”, che in un futuro lontano dal vivere antiquato pseudo moderno che ci viene imposto, i voti e il cosiddetto merito scompariranno. Ne sono certissima, perché la ragione dei risultati porta su altre vie. E la ragione solitamente, alla lunga, vince.

Bello sarà un mondo in cui si rifletterà sui propri e altrui errori, si ragionerà sui percorsi che hanno indotto a sbagliare e si riproverà a tentare. Bello sarà un mondo in cui l’errore verrà considerato un bene, non per buonismo bensì per amore del cambiamento, del miglioramento. Invidia provo ora per chi alla luce del sole non temerà di condividere le difficoltà, le scalate ai gradini della piccola e grande ricerca, per giungere a soluzioni trovate in team.

La scuola dell’apprendere

Una scuola vera e giusta si creerà sulle ceneri di quella che adesso conta e riconta punteggi, medie numeriche, voti. Nascerà dopo essersi scontrata contro il muro degli abbandoni, dell’inutilità, della falsa sicurezza che dà il presunto rigore di verifiche presunte oggettive e voti.

La scuola dell’apprendimento, del problem solving, della conversazione, dell’autovalutazione, della valorizzazione, dello sviluppo delle potenzialità è già presente in Italia, è quella dell’infanzia, ma forse della sua potenza non si tiene il dovuto conto. Essa è ottima perché risponde ai canoni dello splendore del sapere e dei saperi. Non si creda che essendo scuola dei piccoli sia essa stessa piccola, mondo in miniatura. Sarebbe una lettura superficiale, una visione alquanto arrogante che non terrebbe in considerazione le modalità con le quali è divenuta una scuola che all’estero ci invidiano.

Essa accoglie, accompagna, sperimenta con e per i bambini e le bambine affinché essi, liberi da giudizi e voti, possano collaborare alla pari riconoscendosi parte centrale di un sistema che lavora per estrarre la roccia da ognuno.

Preziosi sono l’apprendimento e l’insegnamento che insieme indagano, si fermano a riflettere e rielaborare per poi ripartire alla scoperta di nuove mete conoscitive, il bello delle quali ritorna alle menti di ognuno.

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La centralità della motivazione intrinseca

Si pensi a un alunno/a qualsiasi che dall’infanzia, alle elementari, alle medie, alle superiori sia totalmente privo del concetto di voto, di gradi, di merito o demerito numerico, di giudizi qualunque, e che sia invece costantemente tenuto vivo, lui/lei e la sua mente, da una continua messa in discussione dinanzi alle diverse realtà del sapere, con lezioni frontali, cooperative di gruppo e di coppia, che lo/a incoraggino nella sua successiva presa d’atto individuale, all’autonomia. Noi ci ritroveremmo accanto alunni/e motivati, amabili, capaci di relazionarsi positivamente con i pari, con gli/le insegnanti e con le loro famiglie. Tolta la molla-trappola dei voti, la ragione e le ragioni di una tale rivoluzione si dispiegherebbero libere di esistere, di arricchirsi dell’apporto dei contributi di tutto e di tutti.

Ho avuto l’onore e inizialmente anche l’onere di sperimentare per anni una scuola senza distinzioni, una scuola del sapere per il sapere con bambine e bambini di ogni provenienza e condizione ed è stata un’esperienza a dir poco illuminante, una crescita veloce e strabiliante per chiunque l’abbia condivisa, piccoli e grandi. Si cambia, si trasforma se stessi e la realtà relazionale, si diviene compagni/e di strada, ci si dà quella mano che consente di rialzarsi ai più deboli e di rafforzarsi nell’autostima i più fortunati che poi imparano a sorridere del sorriso di coloro i quali hanno sostenuto.

Apprendere con gioia

Gli apprendimenti avvengono eccome, e con gioia, senza ansie, con la sola consapevolezza di essere parti di un tutto, del mondo della conoscenza, il quale diviene ogni istante più amico, meno opprimente nel suo disvelarsi quotidiano alle menti pronte a interagire, a porre domande, a salire senza patemi sui gradini dell’errore per poi ricominciare la discesa delle scoperte fatte in ogni ambito che la scuola con i suoi limiti e le sue grandezze presenta a bambine e bambini.

Una prassi scolastica siffatta pone al centro non il bambino/a come individuo competitivo, bensì la persona con la sua richiesta d’infinito, di un climax rispettoso delle interiorità di ognuno/a e di tutti.

La grazia, l’eleganza, l’amorevolezza d’approccio all’altro divengono via via sempre più comuni. la comunità si arricchisce plasmando una scultura vivente di idee e risultati inattesi eppure fantastici.

Nascono prodotti di grande fattura in ogni campo.

Una società cooperante

Però bisogna credere in una società diversa che tenda all’ideale della cooperazione per vincere le sfide della storia, dell’ambiente, delle difficili e confuse vicende delle relazioni fra i popoli. Si parte dal basso che non è basso perché piccolo. È il primo periodo della formalizzazione, è fondamento e fondamenta per costruire una cittadinanza rigorosa, seria, ricercatrice del sé e dell’altro. È l’avvio alla reale integrazione di persone e culture. È l’unico antidoto ai mali che affliggono da sempre l’uomo e il suo esistere: corruzione, malversazione, crimini di ogni tipologia si fondano su sistemi educativi violenti e competitivi, su storie di soprusi ed emarginazione, su invidia e gelosia dello status sociale e intellettuale altrui. La malattia del nostro vivere è l’affanno unito alla spietata corsa ai risultati del qui e adesso, del “far vedere” ciò che si fa a scapito del cosa si pensa e dei percorsi riflessivi e lungimiranti opposti alla mitologia dell’apparire.

Giungere a comprendere che un tale approccio è possibile non è facile in quanto noi adulti siamo stati formati a una disciplina scolastica ben diversa e rigida con routine prestabilite che andavano dalle esercitazioni, alle prove strutturate, alle interrogazioni senza che si tenesse conto dei percorsi, delle cadute, delle riprese. Alla meglio i più giovani di noi hanno conosciuto qualche lavoro di gruppo estemporaneo, qualche evento festoso dentro o fuori la scuola, ma sicuramente non la festa organizzata dell’apprendimento in sé e per sé.

Formare le nuove leve di insegnanti

Sì, ci vorrebbe tanta formazione per le nuove leve, ma essa dovrebbe essere diretta alla presa di coscienza che un vero insegnante è un regista, un conduttore, un attore fra gli attori. Non un dispensatore di cultura in pillole con relativo dispenser di voti incorporato.

A coloro i quali sostengono che i voti divengono premio e stimolo al sapere in una società che comunque ha in sé la scala sociale dal minore al maggiore, dal più debole al più forte, dal meno bravo al più bravo, dal più povero al più ricco, si può rispondere che la scuola non deve essere specchio del vivente attuale, bensì proposta di radicali mutamenti, di inversione di rotta, che essa per sua natura deve preparare a rendere sereno e forte il sé indirizzandolo verso la ricerca per la ricerca, al pensiero critico, al rispetto dell’essere che fa e modifica le condizioni in cui vive e in cui vivono gli altri. La scuola di vita dovrebbe diventare, sempre più, spazio, situazione d’amore per la vita e per ciò che essa presenta, amore per le creature compagne di strada, qualunque strada esse percorrano.

La scuola dovrebbe inventare un nuovo mondo nel quale le mani, l’intelletto, l’arte e l’artigianato, la tecnologia, ecc. siano parimenti rispettati e valorizzati in un interscambio di informazioni, emozioni, concretezza e astrazione insieme. Le persone valorizzate dal sapere, il sapere valorizzato da persone pronte a interagire, ad ascoltarsi, ad ammirarsi e a sostenersi sempre.

Valorizzare le vite, le nostre e le altre, significa eliminare l’angoscia, la paura che fa deviare, significa spingere la bicicletta traballante dell’inesperto ciclista con la mano sicura del maestro che si fa autorevole aiutante senza prendere il posto sulla sella.

Non temere il possibile

Osservare bambine e bambini che partono sicuri, che pedalano fianco a fianco, che raggiungono le mete tirandosi la volata giungendo tutti a linee di traguardi voluti e attesi è esperienza unica. Chi se ne priva tra noi adulti non sa cosa perde, non sa quanto aiuti a vivere la vita cogliere ogni giorno le conquiste di un modo siffatto di insegnare e apprendere.

Chi se ne priva vede ancora un’unica possibilità di mondo. Sbarra la via di possibilità alternative. Chiude lo spiraglio che intravede la possibile rivoluzione verso una comunità-società dalle radici davvero umanistiche e illuministe insieme.

L’articolo ora è presente nel libro scritto da Claudia Fanti “2014, odissea nella scuola” e su edscuola.it.

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