La Tirannia del ‘Politicamente Corretto’

ragazza-bavaglioDi Viator Anticorpi.info

Nel romanzo 1984 George Orwell immaginò un mondo in cui il linguaggio e il pensiero della gente erano stati soffocati da un tentacolare sistema persuasivo tecnologico allestito dallo stato totalitario.

La tirannia del ‘politicamente corretto’ che negli ultimi anni si è impossessata della cultura occidentale ricorda molto il bi-pensiero orwelliano: qualcuno dall’alto stabilisce cosa in un determinato frangente storico sia da ritenersi giusto e cosa sbagliato, e sfruttando la cassa di risonanza della cultura di massa induce le persone ad aderire ad una serie di dogmi laici spacciati per imperativi etici, quando in realtà sono solo strumenti al soldo di una strategia socio-politica.

finto politicamente corretto

I primi sintomi.

Qui in Italia si è iniziato rimarcando la differenza che passa tra l’offendere un cittadino di serie A ed uno di serie B. L’offesa verso un cittadino che ricoprisse cariche istituzionali fu subito etichettata come politicamente scorretta, la profanazione di un sacro totem da impedire con l’introduzione dei reati di ‘oltraggio a pubblico ufficiale’ e ‘vilipendio’. Con la scusa del ‘dovuto’ rispetto alle ‘istituzioni’ si creò il moderno feticismo laico.

Tutta roba che non dispiacque al fascismo, che fece proprio l’articolo di legge presente nel Codice Zanardelli del 1889 e lo ripropose nel Codice Rocco nel 1930.

Dopo il fascismo, “con l’avvento della Repubblica e della nuova Costituzione, i delitti di vilipendio apparvero come reati di opinione contrari alla libertà di manifestazione del pensiero e per giunta a contenuto indeterminato: non è facile, infatti, stabilire quale e quanto grave debba essere l’offesa verbale alle istituzioni per ritenere commesso il reato. (…) Nonostante le pressioni della dottrina giuridica, la Corte costituzionale rigettò la questione di legittimità, chiarendo che il bene del prestigio delle istituzioni non solo meritava tutela, ma aveva rilievo costituzionale.” (fonte)

Ciò detto, se è plausibile che in un regime totalitario si adottino misure di limitazione della libertà di espressione, come la mettiamo quando in un regime democratico si sacrifichi a priori la libertà d’espressione del governato sull’altare del prestigio del governante?  Dissonanza cognitiva?

E se per tutelare la democrazia uno Stato promulghi leggi contrarie ai più elementari principi democratici? Schizofrenia?

Sta di fatto che con la legge 645/1952 la democrazia italiana stabilì che il fascismo fosse un argomento fuori discussione, che parlarne bene fosse politicamente scorretto quanto parlare bene del diavolo, perciò istituì il reato di ‘apologia del fascismo.’ Tale legge ancora oggi sanziona penalmente – tra le altre cose – “chiunque pubblicamente esalti esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo.”
Anche qui, se una democrazia impedisce con la forza la manifestazione del pensiero, cessa di essere una democrazia. Non si sfugge. E’ come lo slogan di moda ai tempi della guerra in Vietnam: Uccidere in nome della pace è come scopare in nome della castità. Quando cessa di punire le azioni per punire i pensieri, le parole e le intenzioni, una democrazia non è più tale.

La regola del doppiopesismo.

Da noi ultimamente è spuntata perfino l’accusa di ‘vilipendio alla resistenza’, cioè a quell’insieme di cittadini che supportarono le truppe alleate che accorsero in Europa per salvarci, proprio come oggi accorrono in Medio Oriente e nord Africa per salvarli. Perché l’esaltazione dei valori partigiani rientra nella correttezza politica, mentre la loro revisione alla luce degli eventi che susseguirono la colonizzazione, compresi quelli più attuali, è molto, molto politicamente scorretta. Non si fa. E’ peccato. Vergogna.

Se invece si rivolge l’attenzione ad un altro tipo di resistenza, quella opposta verso metà ‘800 dai cittadini del meridione d’Italia contro l’invasione ed il saccheggio da parte delle truppe piemontesi, ecco che quella resistenza diventa brigantaggio. Il vilipendio di quella resistenza è politicamente corretto, anzi incoraggiato mediante la manipolazione istituzionale della memoria storica. Gli eccidi che videro vittime i partigiani anti-fascisti sono degni di commemorazione; quelli che videro soccombere intere città meridionali (500.000 uccisioni, stima al ribasso) durante la campagna d’unificazione, non meritano commemorazione. E’ politicamente scorretto rivangare simili vecchie storie, perché da quei luttuosi eventi nacque niente meno che il Regno d’Italia, poi trasformato nella repubblica democratica fondata sul lavoro (geniale).

Il primo ostacolo.
A questo proposito, tra gli ostacoli che ci impediscono di scrollarci di dosso la dittatura del politicamente corretto, ce ne sono due che vale la pena citare.

Il primo è la pia illusione che per qualsiasi problema politico esista una soluzione del tutto positiva e definitiva, da perseguire con ogni mezzo poiché quando uno agisce nel nome di una nobile causa il fine giustificherebbe i mezzi. Falso. Quaggiù non ci sono soluzioni politiche universali, né definitive. Non si può avere tutto. Esistono le leggi di natura ed esiste (per alcuni) la coscienza. Tutto qua. Il resto è sovrastruttura.

Sicché – ad esempio – è preferibile vivere in una società globalizzata, che implica una distanza incolmabile tra governanti e governati e la sottomissione dell’individuo rispetto al Potere, ma in cambio garantirebbe stabilità, pace e sicurezza, oppure un mondo frammentato, in cui c’è meno distanza tra governanti e governati e le libertà individuali sono tutelate, ma stabilità, pace e sicurezza non sono garantite?
Non esistono soluzioni politiche universali. Esistono compromessi, sporadici momenti d’equilibrio a metà strada tra Ordine e Libertà, congiunture virtuose destinate purtroppo a squilibrarsi sotto gli attacchi del tempo, dell’entropia e della natura umana.

Democrazia e stabilità.
Non per niente da qualche anno il termine ‘democrazia’ sembra essere passato di moda nei discorsi dei cosiddetti ‘potenti’, soppiantato da concetti quali ‘pace’, ‘sicurezza’ e ‘stabilità.’

E’ interessante notare come agli esponenti di spicco dell’informazione, della cultura e della politica italiana tenda a sfuggire il concetto che la stabilità di governo, feticcio della correttezza politica in ambito economico e amministrativo, non sia un pregio di cui una democrazia possa andar fiera, specie se ottenuta mediante appositi congegni elettorali introdotti da personaggi non eletti dal popolo. La stabilità politica istituzionalizzata è roba da dittature e monarchie assolute, non da democrazie. Anche la più scalcinata democrazia non può prescindere da una sana e vitale instabilità, dalla eterogeneità, dalla dialettica, altrimenti si ha a che fare con un totalitarismo, sia esso indotto con la forza o con la propaganda. Instabilità di governo e lentezza dell’iter legislativo, attributi etichettati come inefficienti dalle attuali pragmatiche consorterie progressiste, non sono mica noiosi effetti collaterali di un sistema perfettibile – ad esempio istituendo soglie di sbarramento per tenere fuori le minoranze o sopprimendo una Camera per approvare le leggi più in fretta – ma congegni democratici che a suo tempo furono approntati per tutelare la tradizione (collaudata) dai raptus del riformismo scriteriato e opportunistico. Cioè: meglio stare fermi che fare cazzate.

Eppure i giochi proseguono nonostante il re sia ormai nudo, malgrado l’astensionismo accomuni ben oltre la metà degli aventi diritto al voto, cittadini defraudati del loro diritto costituzionale di essere rappresentati in Parlamento. Si rendono conto, intellettuali, politici e giornalisti, che in ossequio al feticcio della stabilità il Parlamento è stato svuotato di significato in quanto il bipolarismo coatto gli impedisce di rappresentare la nazione nella sua interezza?
Anche in questo caso emerge chiaramente una manipolazione dei concetti arbitraria e fraudolenta, il 2 + 2 = 5 di orwelliana memoria. La stabilità trasformata in qualità democratica, il tutto allo scopo di accelerare il corso di una serie di stravolgimenti sociali, politici ed economici spacciati per ‘impellenti riforme.’ Riforme che nessuno di noi ha mai reclamato, progettate da strani individui che nessuno di noi ha mai votato.

Attualmente contestare questa roba che spacciano per ‘democrazia’ è politicamente scorretto proprio come contestare le modalità con cui fu conseguita l’unità d’Italia, oppure la truffa dell’Euro con cui un branco di traditori ci vendette alla finanza alcuni anni fa. Prova a parlare di decentramento, sovranità monetaria, autonomia, tradizione, ed immediatamente i mastini del ‘politicamente corretto’ ti appiopperanno l’etichetta di bruto retrogrado nazista xenofobo. Non si fa. E’ politicamente scorretto perché sarebbe contrario all’ideale di integrazione dei popoli, e perché secondo loro le singole nazioni condurrebbero alla guerra, come ha asserito il Presidente della Repubblica in questi giorni. A me non risulta. Mi risulta che a scatenare le guerre siano gli stati (non le nazioni) manovrati dai poteri finanziari, con la collaborazione ingenua di chi è disposto a dare la vita per pochi soldi e qualche motivazione pacchiana.

Forse è per questo che oggi risulta più politicamente corretto parlare di stabilità, pace e sicurezza, piuttosto che di democrazia. Perché i signori burattini hanno realizzato che stabilità, pace e sicurezza, ovverosia i finti obiettivi sfruttati dai burattinai per camuffare i loro piani di controllo e asservimento globale, sono connotati che una vera democrazia non potrebbe mai garantire, per incompatibilità strutturali. La coperta è troppo corta. Dunque afferrata l’antifona i fidi burattini si sono adeguati alla nuova linea e ora si adoperano affinché tali ‘nuovi ideali’ soppiantino nell’immaginario collettivo il concetto di democrazia.

Negli ultimi decenni la democrazia è stata sgozzata sull’altare della sicurezza, della pace e della stabilità. E’ stata ammazzata ed imbalsamata; di essa è rimasta la salma, gelida e maleodorante; lo zombie di un ideale. Cito a memoria il maccartismo che imperversò negli USA del dopoguerra (v. correlati); l’eliminazione fisica di leader politici non accordati allo spartito (come Kennedy, Moro e Chavez) la strategia della tensione in Italia ed il post 11 Settembre in occidente; l’invasione di stati sovrani in nome della lotta al terrorismo; l’imposizione di abominevoli governi tecnici e di larga intesa in nome del totem della stabilità, lo scandalo del monitoraggio dei cittadini da parte dei servizi segreti USA, il regime di detenzione indefinita avallato dall’attuale governo USA nei confronti di qualsiasi cittadino sospettato di terrorismo (v. correlati). Eccetera.

Il paravento buonistico.
E’ proprio questo opportunismo dal sapore anti-democratico che fa crollare il paravento buonistico delle ‘crociate democratiche’ condotte dai progressisti, i quali invocano la correttezza politica solo quando faccia comodo ai loro padroni sedicenti illuminati, per poi ignorarla in tutti i casi non previsti dallo spartito. Esempio emblematico nel nostro Paese è stata l’applicazione della ormai famigerata ghigliottina per la conversione del decreto IMU – Bankitalia. Ma come? Vi atteggiate tanto a democratici, vi siete auto-battezzati democratici, e poi ve ne uscite con una roba ammazza-democrazia come la ghigliottina? I burattini più scaltri fingono di non accorgersi di quanto ipocrita sia la loro condotta, mentre i più tonti proprio non riescono a capire che i loro ideali di plastica da film americano sono sfruttati per il perseguimento di bieche finalità.

E dunque ecco che nella loro ottica l’eterogeneità politica diventa per definizione una cosa brutta e cattiva, poiché incompatibile alla stabilità di governo necessaria alla implementazione della agenda padronale, ma quella etnica e culturale è una cosa bella e buona – guai al razzista xenofobo che si azzardi a discuterla – in quanto calza a pennello alla campagna con cui i padroni si sono ripromessi di sopprimere le identità nazionali. E così via. La individualità diventa sociopatia e il collettivismo fraternità. La lealtà verso leader non graditi diventa lealismo, la tradizione diventa arretratezza e la omologazione: progresso.

Massimo rispetto nei confronti delle minoranze quando si tratta di vietare i crocefissi nei locali pubblici, scambiare i presepi coi villaggi di Babbo Natale, introdurre le fiabe gay nelle scuole e sostituire nei moduli burocratici le diciture Madre e Padre con Genitore Uno e Genitore Due. Nessun rispetto se si tratta di minoranze etniche invise ai poteri forti (genocidio), movimenti politici minoritari e centri sociali di qualsiasi orientamento politico (proverò a definirla nel tipico linguaggio del politicamente corretto: ideofobia), feti al terzo mese di gestazione (feticidio), varietà del panorama informativo/culturale (pluralismofobia) ed impedimento che il cittadino si dia fuoco per via delle pretese di un Fisco degno del più asfissiante feudalesimo (risparmicidio o filosuicidalità). Voglio dire, abbiamo a che fare con istituzioni che da un lato si infischiano dei loro stessi popoli, derubandoli della democrazia e del benessere a colpi di larghe intese, governi tecnici, soglie di sbarramento, ghigliottine, tasse inique, pignoramenti e ipoteche, e dall’altro spendono cifre astronomiche per esportare il benessere e la democrazia in paesi lontani. Come no, ed i cani hanno la proboscide.

Correttezza selettiva.
A proposito di cani, qualcuno potrebbe spiegarmi come mai in televisione si parli tanto di tutela ambientale e animalismo e tanto poco di tutela della persona umana? E non mi riferisco a un gruppetto di cassintegrati che sbraita contro le telecamere di qualche talk show elemosinando la vita dignitosa che gli spetterebbe di diritto. Oggi mandano in onda uno show televisivo in cui i concorrenti devono riuscire a cantare una canzone mentre vengono torturati. Torturati. Ed un’altra in cui gruppi di ragazzi che si atteggiano a mattacchioni sperimentando su se stessi svariati traumi fisici, per poi ridersela di gusto. Che figate! Schiere di illusi e disperati si riducono a fare i pagliacci nei talent show mentre qualche pseudo-vip li giudica da dietro un banco con aria di superiorità. Ragazze svestite si lasciano definire volentieri ‘morte di fama’ in cambio di un’intervista televisiva nella speranza di rimediare qualcosa in termini di soldi e popolarità. Bambini che anziché fare i bambini sono già scafati intrattenitori e passano mesi a esercitarsi per competere nell’ennesimo talent show in cui sono sfruttati con gran profitto. Se in televisione provi a parlare di fenomeni paranormali diventi automaticamente un povero dissociato da ascoltare con il sorrisetto sulle labbra, in quanto qualsiasi fenomeno non adeguatamente sviscerato, codificato e desecretato dalla Dea Scienza rientra nella puerilità, nella superstizione, ed è quindi politicamente scorretto. Se poi hai l’ardire di parlare di dietrologia, massimi sistemi o spiritualità ti marchiano come un pomposo coglione da zittire al più presto, per passare ad altro tema più appropriato.

Correttezza destabilizzante.
Ad esempio il tema politicamente super-corretto delle cosiddette ‘quote rosa’ con cui si vorrebbe imporre per legge che una certa percentuale di cittadini di sesso femminile faccia sempre ed inderogabilmente parte di qualsiasi organo complesso democratico. In altri termini siamo alle solite: si cerca di correggere un presunto difetto culturale con la coercizione. Brutto affare la facoltà di legiferare se cade in mano a burattini manovrati da mitomani. Gli ingegnosi statisti hanno partorito la pensatona che per contrastare la cosiddetta, presunta ‘discriminazione di genere’, debba promulgarsi una legge con cui di fatto si legalizza la discriminazione di genere. Stesso principio stante alla base del disegno di legge contro l’omofobia. Come dire che per rimediare ad una scottatura al polpastrello mi taglio via il dito.

Non è con la coercizione e l’ipocrisia che si contrastano distorsioni antropologiche come quella della violenza sulle donne (sugli uomini, sui gay e sui deboli). Lo si fa rimettendo in discussione questa cultura, tornando sulla retta via, quella suggerita da secoli di tradizione, dai nostri genitori ed i nostri nonni, e non dalla ingegneria sociale scriteriata con cui si baloccano i moderni Caligola globali.

Dovremmo soffermarci a riflettere sulla eventualità che talune cose semplicemente non siano modificabili dall’ingegno umano. Che ci piaccia o no. Che lo vogliamo o meno. Sono le fondamenta predisposte dal Creatore affinché tutto proceda nel verso giusto. Quanto più si corrompono quelle fondamenta, tanto più ci si fa del male. E’ la mutevole cultura umana ad attribuire loro una valenza più o meno positiva, più o meno corretta a seconda del contesto storico e politico di turno. Più ci adoperiamo per corrompere detti equilibri nel nome del Gran Dio Progresso (leggi: agenda oligarchica), più ci involviamo anziché progredire. Manipolare la natura per adattarla alle nostre idee è da mitomani. Bisogna ascoltare, contemplare, comprendere quali siano i meccanismi immutabili che governano la materia, e organizzarsi in modo tale che non ci conducano alla rovina.

E invece da qualche anno gli stessi mass media che mercificano abitualmente il corpo femminile stanno conducendo una martellante campagna contro il ‘femminicidio’ e poi trasecolano costernati quando emerge l’ennesimo giro di prostituzione minorile. E alla campagna mediatica si è appaiata la volontà politica di introdurre aggravanti o reati specifici, avallando l’idea secondo cui l’assassinio di un essere umano possa essere più o meno grave a seconda del genere sessuale della vittima. Il reato di omicidio è già contemplato e sanzionato dal diritto; basta applicare la legge; non c’è motivo di creare discriminazioni. Anziché prendere atto della mostruosità di questa cultura figlia della manipolazione mentale di massa, si cerca di porre rimedio al problema demolendo le fondamenta del diritto.

Ad ogni modo, dando per buone le intenzioni di chi sta battendosi per sensibilizzare l’opinione pubblica circa il problema della violenza sulle donne, si può sapere perché sulla stessa falsariga non siano state istituite campagne di sensibilizzazione contro la pratica abortiva (data ormai come cosa lecita e scontata), o l’abbandono di neonato, oppure proposte di legge a tutela dei minori uccisi dalle rispettive madri? Seguendo il ragionamento di chi si schiera a favore dell’istituzione del reato di femminicidio, la fattispecie della madre che abbandona (neonatofobia) o uccide i propri figli (figlicidio) sono abbastanza frequenti da motivare la coniazione di truci neologismi e l’allestimento di gigantesche campagne mediatiche. In questi casi tuttavia le ragioni delle categorie ‘a rischio’ passano in cavalleria. Come mai? Come mai ci si adopera per tutelare i gay e le donne, ma non i feti, gli anziani, i mendicanti? Forse perché questi ultimi rientrano tra gli indesiderati dal potere? Perché la sensazionalistica tutela di gay e donne è solo una scusa per alimentare il conflitto tra i generi sessuali, con cui distruggere la famiglia e ridurre il tasso di natalità? Tutto ciò sfruttando l’insano istinto di emulazione di questa generazione mutante? Come mai a nessun filantropo è venuto in mente di imbastire una incessante campagna mediatica finalizzata a scoraggiare il suicidio, altra pratica tragicamente diffusa in questi anni bui? Sarà che oggi qualcuno si è messo in testa di sparigliare gli equilibri tra i sessi, ma in realtà della incolumità delle femmine, proprio come dei diritti degli omosessuali, dei maschi, dei feti, dei minori e dei suicidi, non gliene può fregare di meno?Il secondo ostacolo.
Il secondo grosso ostacolo che a mio avviso ci impedisce di affrancarci dalla dittatura della correttezza politica, è la incapacità di riconoscere la gradualità della loro strategia. Il non comprendere che chiunque sia, non si fermerà. Che più gliene daremo, più se ne prenderà, attraverso questa chirurgica opera di erosione del nostro ambito di manovra mentale e culturale. Ad esempio, prima o poi passerà il concetto che concepire un figlio sia politicamente scorretto per via del problema della sovrappopolazione. Che farsi praticare l’eutanasia per non gravare sui conti pubblici in caso di invalidità o vecchiaia sia un comportamento virtuoso. Che ereditare beni dai famigliari sia una fattispecie disparitaria e anti-meritocratica, quindi per correttezza politica sia più appropriato che i beni del de cuius siano recepiti dallo Stato, e così via. In altre parole, state certi che quelli esaminati in questa filippica (ringrazio chi sia riuscito ad arrivare in fondo) non sono punti d’arrivo, ma tappe di un percorso che in nome dei tabù avallati dal sedicente ‘progressismo’ sta proiettandoci verso una dittatura fondata sul bi-pensiero orwelliano.

Conclusione.
La correttezza politica è l’opposto di ciò che finge di essere; sembra uno strumento di democrazia, e invece è un’arma repressiva. E’ stupefacente come gli stessi compagni e confratelli progressisti libertari che un tempo stigmatizzavano il bigottismo cattolico, siano diventati essi stessi dei bigotti laici. Tromboni radical chic talmente convinti di avere la verità in tasca da non rendersi conto di essere diventati strumenti politici nelle mani di una tirannia occulta.

Giorni fa il presidente Napolitano ha dichiarato che a suo avviso il sessismo sia un ‘virus’ annidato nella politica ed in rete. In realtà il vero virus non è il sessismo, ma la cosiddetta ‘correttezza politica’, giochetto opportunistico ad esclusivo appannaggio di chi manovrando la cultura di massa vuol mantenerci divisi e farci credere che la sua soluzione sia anche l’unica soluzione. Una mentalità abulica, divisiva, fatta valere con gran dispiegamento di mezzi solo quando comporti un vantaggio per l’agenda dei gran maestri di ipocrisia, salvo poi essere ignorata quando non giovi ai loro progetti deliranti.

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