Spiritualità Laica – L’essere umano è solo uno degli innumerevoli modi espressivi dell’intelligenza….

Nel processo infinito della manifestazione l’essere umano è solo uno degli innumerevoli modi espressivi dell’intelligenza. Non c’è limitazione nell’espressione vitale, possiamo immaginare esseri composti di altre materie da quella organica che ci contraddistingue, ad esempio nella cosmologia indiana si parla di “abitanti” del sole, della luna e di altri mondi astrali e fisici, che condividono con noi l’intelligenza e la coscienza ma in forme completamente diverse dalla nostra. Si parla di diverse dimensioni e di diverse evoluzioni.

 

Nella fantasia creativa, e possiamo osservarlo anche qui sulla Terra, non esistono due foglie dello stesso albero che siano uguali, non esistono due granelli di sabbia della stessa spiaggia che siano uguali, non esistono fra i miliardi di uomini due che siano identici, persino gli animali clonati manifestano evidenti differenze gli uni dagli altri. Insomma ogni essere è una rappresentazione unica ed irripetibile della Coscienza Assoluta

Nel film universale in continua produzione e proiezione la fantasia e la diversità è una regola, come dire che tutto cambia ma non la capacità di cambiamento che sempre permane. Tutto questo vivere si srotola sullo schermo della Mente Universale mentre la Coscienza vivifica il gioco creativo e lo osserva. Yin e Yang. Shiva e Shakti. Luce e Tenebra, Moto ed Inerzia.
Allora, appurato che il processo è indefinibile da punto di vista della comprensione mentale, resta però un fatto basilare, tutto quel che è sempre è presente nel Tutto.
 
Non può esserci separazione alcuna, non può sussistere alcuna limitazione nella Presenza dell’Assoluto in ogni sua forma ed immagine. Bene, quindi siamo certi al 100 per cento di essere Quello. Non possiamo essere altri che Quello. L’Assoluto!
E adesso torniamo al relativo, torniamo all’esperienza degli opposti vissuta nel nostro mondo duale: bene e male, egoismo ed altruismo, gioia e dolore, desiderio e paura. Certo ognuna di queste sensazioni (o pensieri) è relativa, perciò fittizia ed irreale, però noi la percepiamo e crudelmente la sperimentiamo nel nostro vivere quotidiano.
 
Ma l’integrazione degli opposti è la radice del ritorno alla nostra consapevolezza primigenia. Alla capacità spontanea di essere ciò che siamo nell’Unità, aldilà del concetto di spazio e di tempo, aldilà di ogni illusione separativa.
Questo processo di “ritorno” alla propria natura avviene come nel passaggio dal sogno alla veglia, è intrinseco in ognuno di noi. Quando sogniamo siamo immersi nel sogno e quella è per noi la sola realtà… Quando giunge il momento del risveglio ci sono delle avvisaglie che ci fanno percepire l’imminente cambiamento di stato. Come dire, abbiamo sentore dell’imminente uscita dall’illusione del sogno. Certo questa è semplice analogia poiché nel sogno e nella veglia, che sono condizioni mentali, non vi è vera illuminazione e realizzazione. Quel “risveglio” di cui parlo è l’intima essenza indivisibile, inavvicinabile dalla mente, ma la sua realtà è intuibile e sperimentabile nello stato di pura consapevolezza.
Nel processo di ritorno che sospinge ogni singolo essere verso quella pura consapevolezza avvengono vari miracoli e misteriosi cambiamenti. L’adattamento ai nuovi stati di coscienza coinvolge sempre e comunque tutto il corpo massa della specie, ma nella nostra dimensione umana noi siamo abituati al funzionamento a locomotiva, ovvero due passi avanti ed uno indietro, anche definito crescita per tentativi ed errori. Per questa ragione sembra che l’evoluzione manchi di linearità e continuità. Nella nostra civiltà abbiamo vissuto vari momenti che sembravano paradisiaci, che mancavano però di una comprensione olistica. Un po’ come avviene nel mondo animale in cui la spontaneità apparentemente regna sovrana ma la coscienza è carente nella autoconsapevolezza e nella ragione.
Insomma dobbiamo poter integrare l’intuizione e la ragione in una comprensione olistica del nostro funzionamento e ciò fatto possiamo procedere a dimenticare il processo sperimentale per poter vivere integralmente l’esperienza in se stessa. Osservatore ed osservato non possono essere separati e questo vale sia nel mondo della fisica moderna che nel contesto spirituale.
Ma riportiamo l’attenzione a come l’integrazione fra interno ed esterno, fra soggetto ed oggetto, possa trovare una sintesi attraverso l’espletamento della nostra vita quotidiana ed attraverso il riconoscimento della nostra costante “presenza” in ogni evento vissuto. L’io ed il tu sono condizioni mentali che non rappresentano una verità assoluta ma una semplice convenzione funzionale. Eppure attraverso l’attenzione posta sulla paritetica “presenza” siamo in grado di uscire fuori dalla gabbia del dualismo.
Per ottenere questo risultato le religioni consigliano la via “dell’amare il prossimo tuo come te stesso” mentre le filosofie gnostiche indirizzano verso l’autoconoscenza “gnosce te ipsum”.
Non scindiamo queste due vie, teniamole strette come due remi della nostra barca che ci aiutano ad uscir fuori dal pantano del “dualismo”.
Quello che noi viviamo non è altro che il riflesso di ciò che noi siamo, se possiamo restare consapevoli di ciò ecco che scompare in noi la pulsione ad ottenere risultati puramente esterni (egoici), seguendo le spinte di paure e desideri. Se siamo vittime di queste spinte sentiamo il bisogno di “conquistare” risultati anche sopraffacendo gli altri, il che equivale a dire che riteniamo di poter indennemente mangiare le nostre stesse carni nel tentativo di ottenere una crescita.
Come possiamo considerare che qualcosa sia al di fuori di noi stessi? 
Paolo D’Arpini
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