Se il cibo diventa un bene di consumo senza anima.

alimentazionenaturaleIn questa intervista – tratta dal settimanale francese Le Point e curata da Dominique Dunglas – Carlo Petrini ci mette in guardia dalle storture del nostro tempo sul cibo e sulle abitudini alimentari e ci racconta come nascono i principi di Slow Food, ormai presente in 163 Paesi.

L’industrializzazione ha fatto precipitare la qualità dei prodotti e non rispetta né la biodiversità né gli ecosistemi

Che cosa non va nel nostro modo di alimentarci?

L’industrializzazione ha fatto precipitare la qualità dei prodotti e non rispetta né la biodiversità né gli ecosistemi. L’agricoltura consuma troppa acqua e noi mangiamo troppa carne. Ma il problema più grande è la perdita del valore simbolico dei cibi. Sono diventati commodities, beni di consumo senza anima.

Come Slow Food agisce sul territorio?slow food petrini carlo cibo

I tre princìpi di Slow Food e Terra Madre, la nostra rete presente in 163 Paesi, sono buono, pulito e giusto. Il buono… va da sé. Il pulito: rispettare gli equilibri della Terra. Il giusto: giustizia sociale per gli agricoltori che stanno per scomparire ovunque. Se l’ottimo riso che stiamo mangiando è stato raccolto da lavoratori in nero sfruttati come schiavi, questo mi disgusta.

Non era Slow Food agli inizi un club di gastronomi?

Slow Food è nato nel 1989 nel foyer dell’Opéra-Comique di Parigi, non lontano da dove è vissuto Brillant-Savarin. Allora si chiamava il Movimento internazionale per la tutela del diritto al piacere. È vero che noi eravamo sulla gastronomia pura. Ma oggi il solo ritorno ostentato alla tradizione culinaria non è altro che il lato opulento e autoreferenziale della mercificazione del cibo. Una pornografia alimentare. Questo mi rappresenta solo una mortificazione dei sensi! Chef come Marc Haeberlin o Michel Bras sono d’accordo con noi.

Siete più vicini a José Bové o a un movimento come Caccia, pesca, natura e tradizioni (Cnpt)?

Bové segue la sua logica, ma pensa che il piacere alimentare sia una faccenda da snob. La Cnpt ha spesso ragione, ma deve comprendere che bisogna difendere tutti i contadini, compresi quelli del Guatemala o del Burkina Faso.

La globalizzazione è l’origine di tutti i mali?

Dipende da come viene utilizzata. Fa paura quando si mette al servizio dei forti per strangolare i deboli. Ma Slow Food è frutto della globalizzazione. Noi non siamo contro l’industria alimentare, se essa è virtuosa. Lavazza, che ha una linea di caffè facente parte del commercio equo, è presente al Salone del Gusto. Detto questo, l’industria alimentare non ha bisogno di difensori. Io sono dalla parte dei deboli, dei piccoli.

Pro o contro gli Ogm?

Contro. Ci sono le incognite scientifiche. Ricordiamoci la vicenda della mucca pazza. Le culture Ogm necessitano di enormi quantità d’acqua e pongono il problema della proprietà delle sementi. E perché sacrificare l’aglio d’Albi, le lenticchie di Saint-Flour o il bue charolais a vantaggio di produzioni standardizzate e insipide?

Mangiare bene non è un lusso osceno quando 1.8 miliardi di persone sono sottoalimentate o muoiono di fame?

Bisogna uscire da questa schizofrenia. Il buono non genera carestia. Produciamo sulla Terra abbastanza per nutrire 12 miliardi di persone, ma ne sprechiamo la metà. A causa di una distribuzione pessima. A causa della sovrapproduzione, spesso dopata dai sussidi che fanno precipitare i prezzi portano alla distruzione degli stocks o, peggio, alla distribuzione gratuita per il terzo mondo. Questo meccanismo perverso uccide gli agricoltori locali. Basta aprire i nostri frigo: sono diventati delle tombe alimentari, delle anticamere di discariche pubbliche.

Quale abitudine alimentare individuale propone?

Mangiare è un atto “agricolo”. Il consumatore non deve essere più passivo. Deve sapere da dove vengono i prodotti, evitare quelli che provengono da lontano, rispettare le stagioni e saper pagare il giusto prezzo. Diventare una sorta di coproduttore.

Come siete percepiti in Francia?

La Francia gastronomica è sorda ai nostri messaggi. Non comprende che il nostro discorso è politico. La nostra critica del sistema è gastronomica, economica e sociale. Ma non si può ridurre del mondo per essere più comprensibili.

(*) Intervista a Carlo Petrini sul settimanale francese Le Point a cura di Dominique Dunglas.

Traduzione di Luca Bernardini

Fonte

Share Button

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.