Perché si deve lavorare?

“E se davvero il senso della vita risiedesse oggi – a malapena – nel coraggio di chiedersi: quale potrebbe essere la vera motivazione per cui voglio (o devo?) lavorare? Per guadagnare, certo, ma quel che faccio è davvero così importante?”.

di Luzia Janett

lavoro
“Quale potrebbe essere la vera motivazione per cui voglio (o devo?) lavorare?

Non ce lo auguravamo per il futuro fin da quando eravamo ancora bambini? E volevamo davvero – una volta divenuti adulti – lavorare ogni giorno facendo quello che facciamo oggi? Lavorare, infine, per pagare quel che c’è da pagare? Per restare poi, se tutto va bene, con pochi euro in tasca e con quelli cercare di divertirsi! Sembra essere questo – ai nostri giorni – l’unico obiettivo che ci resta.

E se davvero il senso della vita risiedesse oggi – a malapena – nel coraggio di chiedersi: quale potrebbe essere la vera motivazione per cui voglio (o devo?) lavorare? Per guadagnare, certo, ma quel che faccio è davvero così importante? Ci sono lavori che svolgo esclusivamente in funzione del profitto e sono pronto a superare ogni ostacolo per portare a termine – nel migliore dei modi – gli impegni presi.

E se sono persuaso che quel che faccio è la cosa giusta, allora sono già ad un passo dal traguardo.

Con il lavoro che svolgo – profondamente convinto della mia scelta quando professione e vocazione coincidono – mi identifico completamente. Riuscirò a fare del mio meglio e vincerò ogni resistenza pur di raggiungere il mio obiettivo.

Una nota e ormai molto popolare enciclopedia online inserisce il lavoro tra le attività filosofiche definendolo “un proficuo e consapevole processo di scambio fra la comunità degli uomini e la Natura”. Interpreti e protagonisti di questo processo produttivo sono – più di ogni altro – i liberi professionisti e gli imprenditori, ciascuno con le proprie istanze e creatività, i propri punti di vista, il proprio ‘status’ sociale.

“Un intervallo di lucidità nel caos della vita”: così Noel Coward – compositore e indimenticabile attore e regista cinematografico – definiva l’ozio. Definizione sicuramente antitetica al termine latino arvum (terreno agricolo) associato al concetto di lavoro come fatica e travaglio. Una sensazione di felicità ci riempie davvero l’animo se abbiamo un obiettivo chiaro dinanzi agli occhi, e questo potrà essere raggiunto solo con i nostri sforzi.

Avete mai visto un bambino piccolo che si rifiuta di fare qualcosa? Che non vuole rendersi utile, che non vuole imparare, che non vuole fare il suo dovere? “Che cosa vorresti fare da grande?” – è la domanda che con insistenza quasi martellante gli adulti impongono ai ragazzi che crescono. La risposta più comune è oggi: “guadagnare senza fare niente”.

Il bambino purtroppo è già caduto in una trappola senza scampo e i genitori dovranno preoccuparsi di trarlo in salvo prima che sia troppo tardi e che cada anche lui nel circolo vizioso della depressione – allarmante fenomeno sociale sempre più diffuso ai nostri giorni, il ‘male oscuro’ del secolo – e non diventi anch’egli un adulto che si sente inutile, come purtroppo ce ne sono tanti. Noi siamo quello che facciamo. Le nostre realizzazioni ci caratterizzano come esseri unici e inimitabili.

Pensare è un lavoro duro; – dichiarava Henry Ford – industriale, ingegnere e progettista statunitense – e aggiungeva: per questo motivo sono in pochi a farlo”. Concentrarsi su qualcosa di veramente buono e utile da realizzare e ancora riflettere su come raggiungere la mèta tanto agognata. Non rinunciare, capire perché quel ‘qualcosa’ è andato ‘in quel modo’ e se si poteva fare di meglio.

Einstein, che era conosciuto già dai suoi contemporanei come un grande pensatore, affermava che spaccare legna è un lavoro che dà soddisfazione, perché il risultato è immediato e senza rischi di insuccesso. Come dargli torto?! Se fin da ora cominci a stabilire tutto ciò che faresti volentieri, che tipo di lavoro vuoi davvero portare avanti con forte motivazione, perché tu possa eccellere e distinguerti, non ti dannerai l’anima se vedrai il successo solo dopo lunghi mesi o addirittura anni.

Provate, una volta, ad andare a spaccar legna o a ripulire cucine. Proverete un vago senso di gioia, di quella gioia di cui ha bisogno anche il grande pensatore prima di tornare al lavoro e realizzare le grandi cose che ha in mente.

www.ilcambiamento.it

Share Button

One thought on “Perché si deve lavorare?

  1. Pingback: Il fallimento delle rivoluzioni sociali – Ovvero perché le rivoluzioni falliscono e sono destinate a fallire | AcateringVeg

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.