Naomi Klein | ||
Tradotto da Bosque Primario | ||
Editato da Fausto Giudice Фаусто Джудиче فاوستو جيوديشي |
Dai cambiamenti climatici alla Crimea, l’industria del gas naturale è sempre pronta a trovare il modo migliore per sfruttare le crisi per guadagnarci sopra: E’ quello che io chiamo la dottrina d’urto (The shock doctrine).
Un ampia distesa di siti di fratturazione in una valle del Colorado.«La soluzione singolare trovata dall’industria alla crisi climatica è di espandere notevolmente un processo di estrazione che rilascia enormi quantità di metano destabilizzante per il clima.» Foto Ted Wood/Aurora Photos/Corbis
O il fatto che per anni l’industria ha fatto passare il messaggio che l’ America debba accettare il rischio che corrono a causa del fracking-idraulico il territorio, l’acqua e l’aria pur di aiutare il paese a raggiungere “l’indipendenza energetica”. E adesso, all’improvviso e di nascosto, l’obiettivo è stato spostato sulla ” sicurezza energetica “, che apparentemente significa vendere il gas estratto con il fracking, che attualmente abbiamo in più, sul mercato mondiale per creare in questo modo una dipendenza energetica all’estero.
Ma la cosa più importante è che nessuno dica mai che la costruzione delle infrastrutture necessarie per esportare il gas su larga scala richiede molti anni sia per le autorizzazioni che per la costruzione – un singolo terminale LNG può arrivare a costare sette miliardi di dollari, deve essere alimentato da una fitta rete a incastro di metanodotti e di centrali di compressione, e che ha bisogno di una propria centrale elettrica solo per generare l’energia che serve per liquefare il gas attraverso il super-raffreddamento. Nell’attesa che questi progetti industriali tanto complessi entrino in funzione, Germania e Russia possono anche essere diventati amici tra di loro. Ma poi qualcuno si ricorderà che la crisi in Crimea fu solo una scusa colta al volo dall’industria dei petrolieri per far avverare il loro eterno sogno di esportare il gas, a prescindere dalle conseguenze per la società che provoca il fracking e quello che sarà di un pianeta sempre più cotto.
Io chiamo questo talento che ha questa gente per sfruttare le crisi, pur di realizzare un guadagno privato, “la dottrina dell’urto”, e questa dottrina non sembra dare segni di ritirata. Sappiamo tutti come funziona la dottrina dell’urto: in tempi di crisi – vera o artificiosa – le nostre élites riescono sempre a far imporre scelte politiche impopolari che sono dannose per tutti, ma che vengono prese per motivi di emergenza. Certo che ci sono obiezioni – dagli scienziati del clima che avvertono dell’elevato potere di riscaldamento di metano, o dalle comunità locali che non vogliono che porti d’esportazione ad alto rischio sulle loro amate coste. Ma chi ha tempo per parlarne? E’ un’emergenza! Prima approviamo le leggi, al resto penseremo più tardi.
Ci sono un sacco di imprese brave in questa strategia, ma nessuna è tanto brava a sfruttare con tanta razionalità i tentennamenti prodotti dalle crisi come l’industria mondiale del gas.
Negli ultimi quattro anni la lobby del gas si è servita della crisi economica in Europa per raccontare a paesi come la Grecia che il modo migliore per uscire dal debito e dalla disperazione è far forare i loro belli e fragili mari. E ha usato le stesse argomentazioni per razionalizzare il fracking in tutto il Nord America e nel Regno Unito.
Ora la crisi del giorno è il conflitto in Ucraina, che viene utilizzato come un ariete per abbattere le forti restrizioni sulle esportazioni di gas naturale e per sostenerle forzando un controverso accordo di libero scambio con l’Europa. E’ proprio un bell’affare: si mettono insieme le economie delle imprese più aperte al libero scambio, quelle più inquinanti e quelle che intrappolano il calore del gas nell’atmosfera – tutti lavorano per risolvere il problema di una crisi energetica, che in gran parte è tutta un’invenzione.
In questo contesto vale la pena ricordare – ironia della sorte – che l’industria del gas naturale è stata la più abile a sfruttare la crisi del cambiamento climatico stesso.
E ricordate: non bisogna costruire infrastrutture multimiliardarie a meno che non si pensi di usarle per almeno 40 anni. E invece noi rispondiamo alla crisi del riscaldamento del nostro pianeta, con la costruzione di una rete di forni atmosferici ultra-potenti. Ma siamo pazzi?
Il fatto è che noi non sappiamo quanto sia il metano che viene effettivamente rilasciato dalle perforazioni, dal fracking e da tutte le infrastrutture collaterali. Anche mentre l’industria del gas naturale ci racconta che comunque le emissioni di anidride carbonica sono “sempre meno del carbone!”, non si è mai sistematicamente valutato quante siano le fughe di metano, che fuoriescono durante le fasi del processo di estrazione, di trasformazione e di distribuzione del gas – dalle tubature e dalle valvole dei condensatori ai gasdotti rotti che corrono sotto i quartieri di Harlem. L’industria del gas stesso, nel 1981, venne fuori intelligentemente dicendo che il gas naturale sarebbe stato un “ponte” verso un futuro di energia pulita. Questo succedeva 33 anni fa. Un lungo ponte. E la costa dall’altra parte ancora non si vede.
E nel 1988 – l’anno in cui il climatologo James Hansen avvertiva il Congresso, con una testimonianza storica, del problema urgente del riscaldamento globale – la American Gas Association cominciò a pubblicizzare esplicitamente il suo prodotto come una risposta all’ “effetto serra”. Non perse tempo, in altre parole, a vendersi come la soluzione a una crisi globale che aveva contribuito a creare.
L’utilizzo che fa l’industria della crisi in Ucraina per espandere il proprio mercato globale sotto la bandiera della “sicurezza energetica” deve essere inquadrato nel contesto di questo ininterrotto opportunismo determinato dalle crisi.
Detto questo, tocca agli Europei trasformare il loro desiderio di emanciparsi dal gas russo in una domanda di una transizione accelerata verso le energie rinnovabili. Questa transizione – a cui le nazioni europee si sono impegnate nell’ambito del Protocollo di Kyoto – può essere facilmente sabotata se il mercato mondiale verrà invaso da combustibili fossili a buon mercato estratto con il fracking dalle rocce degli Stati Uniti. E in effetti Americans Against Fracking, che sta conducendo la carica contro le procedure accelerate di adozione di leggi sulle esportazioni di gas, sta lavorando a stretto contatto con i suoi omologhi europei per evitare che questo accada.
Rispondere alla minaccia di un riscaldamento catastrofico è il nostro imperativo più pressante per l’energia. Per questo noi semplicemente non possiamo permetterci di essere distratti da questo ultimo trucco di marketing messo in atto dall’industria del gas naturale.
Per concessione di Comedonchisciotte
Fonte: http://www.theguardian.com/commentisfree/2014/apr/10/us-fracking-companies-climate-change-crisis-shock-doctrine
Data dell’articolo originale: 10/04/2014
URL dell’articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=12017