Perché le imprese di fracking usamericane si leccano i baffi sull’Ucraina

Naomi Klein
Tradotto da  Bosque Primario
Editato da  Fausto Giudice Фаусто Джудиче فاوستو جيوديشي

Dai cambiamenti climatici alla Crimea, l’industria del gas naturale è sempre pronta a trovare il modo migliore per sfruttare le crisi per guadagnarci sopra: E’ quello che io chiamo la dottrina d’urto (The shock doctrine).

Fracking in a Colorado valley

Un ampia distesa di siti di fratturazione in una valle del Colorado.«La soluzione singolare trovata dall’industria alla crisi climatica è di espandere notevolmente un processo di estrazione che rilascia enormi quantità di metano destabilizzante per il clima.» Foto Ted Wood/Aurora Photos/Corbis

Il modo pensato per battere Vladimir Putin sarebbe inondare il mercato europeo con gas naturale-fracked-in-USA, o almeno così vorrebbero farci credere. Come parte della crescente isteria anti-russa, sono stati presentati due disegni di legge al Congresso degli Stati Uniti – uno alla Camera dei Rappresentanti (H.R. 6), e uno al Senato (S. 2083) – che propongono l’esportazione di gas naturale liquefatto (LNG), tutto in nome di un aiuto all’Europa per svezzarla dalla dipendenza dai combuatibili fossili di Putin e per il miglioramento della sicurezza nazionale USA.
Secondo Cory Gardner, il deputato repubblicano che ha presentato la mozione alla Camera, “opporsi a questa legislazione è come lasciare in attesa una chiamata d’emergenza dei nostri amici e alleati”. Cosa che potrebbe essere vera – fintanto che i nostri amici e alleati lavorano alla Chevron e alla Shell, e che lo stato di emergenza sia il bisogno di mantenere alti i profitti menrte diminuiscono le scorte di petrolio e gas convenzionali.
Perché questa strategia funzioni, è importante non cercare mai il pelo nell’uovo. Come il fatto che gran parte del gas non andrà mai in Europa – perché gli accordi dicono che il gas deve essere venduto sul mercato mondiale a qualsiasi paese faccia parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

O il fatto che per anni l’industria ha fatto passare il messaggio che l’ America debba accettare il  rischio che corrono a causa del fracking-idraulico il territorio, l’acqua e l’aria pur di aiutare il paese a raggiungere “l’indipendenza energetica”. E adesso, all’improvviso e di nascosto, l’obiettivo è stato spostato sulla ” sicurezza energetica “, che apparentemente significa vendere il gas estratto con il fracking, che attualmente abbiamo in più, sul mercato mondiale per creare in questo modo una dipendenza energetica all’estero.

Ma la cosa più importante è che nessuno dica mai che la costruzione delle infrastrutture necessarie per esportare il gas su larga scala richiede molti anni sia per le autorizzazioni che per la costruzione – un singolo terminale LNG  può arrivare a costare sette miliardi di dollari, deve essere alimentato da una fitta rete a incastro di metanodotti e di centrali di compressione, e che ha bisogno di una propria centrale elettrica solo per generare l’energia che serve per liquefare il gas attraverso il super-raffreddamento. Nell’attesa che questi progetti industriali tanto complessi entrino in funzione, Germania e Russia possono anche essere diventati amici tra di loro. Ma poi qualcuno si ricorderà che la crisi in Crimea fu solo una scusa colta al volo dall’industria dei petrolieri per far avverare il loro eterno sogno di esportare il gas, a prescindere dalle conseguenze per la società che provoca il fracking e quello che sarà di un pianeta sempre più cotto.

Io chiamo questo talento che ha questa gente per sfruttare le crisi, pur di realizzare un guadagno privato, “la dottrina dell’urto”, e questa dottrina non sembra dare segni di ritirata. Sappiamo tutti come funziona la dottrina dell’urto: in tempi di crisi – vera o artificiosa – le nostre élites riescono sempre a far imporre scelte politiche impopolari che sono dannose per tutti, ma che vengono prese per motivi di emergenza. Certo che ci sono obiezioni – dagli scienziati del clima che avvertono dell’elevato potere di riscaldamento di metano, o dalle comunità locali che non vogliono che porti d’esportazione ad alto rischio sulle loro amate coste. Ma chi ha tempo per parlarne? E’ un’emergenza! Prima approviamo le leggi, al resto penseremo più tardi.

Ci sono un sacco di imprese brave in questa strategia, ma nessuna è tanto brava a sfruttare con tanta razionalità i tentennamenti prodotti dalle crisi come l’industria mondiale del gas.

Negli ultimi quattro anni la lobby del gas si è servita della crisi economica in Europa per raccontare a paesi come la Grecia che il modo migliore per uscire dal debito e dalla disperazione è far forare i loro belli e fragili mari. E ha usato le stesse argomentazioni per razionalizzare il fracking in tutto il Nord America e nel Regno Unito.

Ora la crisi del giorno è il conflitto in Ucraina, che viene utilizzato come un ariete per abbattere le forti restrizioni sulle esportazioni di gas naturale e per sostenerle forzando un controverso accordo di libero scambio con l’Europa. E’ proprio un bell’affare: si mettono insieme le economie delle imprese più aperte al libero scambio, quelle più inquinanti e quelle che intrappolano il calore del gas nell’atmosfera – tutti lavorano per risolvere il problema di una crisi energetica, che in gran parte è tutta un’invenzione.

In questo contesto vale la pena ricordare – ironia della sorte – che l’industria del gas naturale è stata la più abile a sfruttare la crisi del cambiamento climatico stesso.

Non importa che la singolare soluzione trovata dall’industria per la crisi climatica sia una notevole espansione del processo di estrazione con il fracking, che emette enormi quantità di metano destabilizzante per il clima e per la nostra atmosfera. Il metano è uno dei gas a effetto serra più potenti –  34 volte più potente dell’anidride carbonica, secondo le ultime stime del Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico (IPCC). E questo per un periodo di 100 anni, quanto è il tempo che impiega il metano a ridurre i suoi effeti.
E molto più importante, sostiene il biochimico Robert Howarth, della Cornell University, uno dei maggiori esperti mondiali sulle emissioni di metano, guardare l’impatto nel raggio dei prossimi 15-20 anni, periodo nel quale il metano ha un potenziale di riscaldamento globale che arriva ad un impressionante 86-100 volte più dell’anidride carbonica. “E’ in questo lasso di tempo che rischiamo noi stessi di sprofondare in un riscaldamento globale molto rapido”, ha detto mercoledì scorso.

E ricordate: non bisogna costruire infrastrutture multimiliardarie a meno che non si pensi di usarle per almeno 40 anni. E invece noi rispondiamo alla crisi del riscaldamento del nostro pianeta,  con la costruzione di una rete di forni atmosferici ultra-potenti. Ma siamo pazzi?

 

Il fatto è che noi non sappiamo quanto sia il metano che viene effettivamente rilasciato dalle perforazioni, dal fracking e da tutte le infrastrutture collaterali. Anche mentre l’industria del gas naturale ci racconta che comunque le emissioni di anidride carbonica sono “sempre meno del carbone!”, non si è mai sistematicamente valutato quante siano le fughe di metano, che fuoriescono durante le fasi del processo di estrazione, di trasformazione e di distribuzione del gas – dalle tubature e dalle valvole dei condensatori ai gasdotti rotti che corrono sotto i quartieri di Harlem. L’industria del gas stesso, nel 1981, venne fuori intelligentemente dicendo che il gas naturale sarebbe stato un “ponte” verso un futuro di energia pulita. Questo succedeva 33 anni fa. Un lungo ponte. E la costa dall’altra parte ancora non si vede.

E nel 1988 – l’anno in cui il climatologo James Hansen avvertiva il Congresso, con una testimonianza storica, del problema urgente del riscaldamento globale – la American Gas Association cominciò a pubblicizzare esplicitamente il suo prodotto come una risposta all’ “effetto serra”. Non perse tempo, in altre parole, a vendersi come la soluzione a una crisi globale che aveva contribuito a creare.

L’utilizzo che fa l’industria della crisi in Ucraina per espandere il proprio mercato globale sotto la bandiera della “sicurezza energetica” deve essere inquadrato nel contesto di questo ininterrotto opportunismo determinato dalle crisi.

Solo che questa volta siamo molti di più a sapere dove stanno le vere bugie sulla sicurezza energetica. Grazie al lavoro di valenti ricercatori come Mark Jacobson e il suo team di Stanford, sappiamo che il mondo può, entro il 2030, alimentarsi completamente con energia rinnovabile. E, grazie agli ultimi rapporti allarmistici dell’ IPCC, sappiamo che seguire queste indicazioni adesso è un imperativo esistenziale.
Questa è l’infrastruttura che dobbiamo sbrigarci a costruire – non quei colossali progetti industriali che ci bloccheranno ancora dentro una pericolosa dipendenza dai combustibili fossili per altri decenni. Sì, questi combustibili ci saranno ancora necessari durante il periodo di transizione, ma basteranno i sistemi tradizionali per farci arrivare sull’altra sponda:  non serviranno certamente i metodi di estrazione ultra-inquinanti come le sabbie bituminose e il fracking.
Come ha detto Jacobson in un’intervista proprio questa settimana: “Non abbiamo bisogno di combustibili non convenzionali per produrre le infrastrutture che servono per farci arrivare alle nuove infrastrutture interamente pulite e rinnovabili. Infrastrutture eoliche, idriche e solari a tutti gli effetti.  Fino a quel momento possiamo contare solo sulle infrastrutture esistenti per produrre l’energia di cui abbiamo bisogno … il petrolio convenzionale e il gas sono molto più che sufficienti. “

 

Detto questo, tocca agli Europei trasformare il loro desiderio di emanciparsi dal gas russo in una domanda di una transizione accelerata verso le energie rinnovabili. Questa transizione – a cui le nazioni europee si sono impegnate nell’ambito del Protocollo di Kyoto – può essere facilmente sabotata se il mercato mondiale verrà invaso da combustibili fossili a buon mercato estratto con il fracking dalle rocce degli Stati Uniti. E in effetti Americans Against Fracking, che sta conducendo la carica contro le procedure accelerate di adozione di leggi sulle esportazioni di gas, sta lavorando a stretto contatto con i suoi omologhi europei per evitare che questo accada.

Rispondere alla minaccia di un riscaldamento catastrofico è il nostro imperativo più pressante per l’energia. Per  questo noi semplicemente non possiamo permetterci di essere distratti da questo ultimo trucco di marketing messo in atto dall’industria del gas naturale.



Per concessione di Comedonchisciotte
Fonte: http://www.theguardian.com/commentisfree/2014/apr/10/us-fracking-companies-climate-change-crisis-shock-doctrine
Data dell’articolo originale: 10/04/2014
URL dell’articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=12017

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