La fine del pane e pomodoro

200020986-a4fdf403-770f-4f59-9384-208cbe338664La storia dei due camion che fecero uno scontro frontale in una autostrada francese la raccontò il contadino e filosofo Pierre Rabhi, rimasto molto colpito quando si rese conto quale era la natura delle merci rimaste spiaccicate sull’asfalto. Il camion che viaggiava da Almeria verso l’Olanda trasportava pomodori e quello che viaggiava dall’Olanda verso Barcellona trasportava … pomodori.

L’ho ricordato perchè secondo me illustra molto bene la preoccupazione della quale voglio parlare: se non reagiamo in qualche modo, tra breve la Catalogna (dove vive l’autore di questo articolo, ndr) non produrrà più pomodori.

Anche se la produzione di pomodori rappresenta il 20 per cento del totale della produzione di ortaggi della Catalogna, con 52 tonnellate all’anno, a partire dal 2005 fno al 2012 la produzione di pomodori si è ridotta del 40 per cento. In pratica, come si spiega con molti dettagli nel Rapporto “La Via del Pomodoro” sul Debito  nella Globalizzazione (Odg) e nella Rivista Sovranità Alimentare, Biodiversità e Culture, elaborato da Monica Vargas e Olivier Chantry, nel 2012 si sono prodotte trentaduemila tonnellate in meno rispetto al 2005.

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Un dato è essenziale per capire la ragione per la quale i contadini catalani stanno abbandonando la coltivazione di pomodori. Tra giugno e settembre, che è il periodo della produzione locale di pomodori e quando si è in presenza della maggior richiesta dei  pomodori nel Mercabarna non si vendono, perché enormi camion come quelli ai quali faceva riferimento Pierre, offrono pomodori a 30 centesimi al chilo, un prezzo al quale, dicono i contadini della zona, non conviene produrli.

Come prima ipotesi di spiegazione è opportuno guardare all’Almeria e alle sue produzioni in serre coperte di plastica, o, più di recente, al Marocco, dove si stanno impiantando su grandi estensioni, delle agroindustrie a capitale spagnolo che riproducono il modello di produzioni invernali in luoghi dove la manodopera è meno costosa. Ma forse è una ipotesi sbagliata, perché grazie alle loro condizioni climatiche, queste produzioni coprono la domanda di pomodori “fuori stagione” e non vi è una concorrenza diretta con le produzioni catalane.

L’occhio si deve spingere più lontano, a più di 1.500 chilometri di distanza, però in direzione opposta, verso il nord. In piena estate, quando è ragionevole consumare i pomodori che il nostro territorio sta producendo, il mercato viene inondato dalla produzione di pomodori olandesi.  

1163150202324Sono sicuro che, come me, sarete sorpresi che il paese dei tulipani dove il clima non è tanto favorevole per l’agricoltura come il nostro, può soppiantare la produzione catalana. Come riescono a praticare prezzi così bassi? E i costi di trasporto? Esistono delle sovvenzioni che introducono delle distorsioni e rendono possibile il dumping, cioè vendere a prezzi inferiori ai costi? Hanno delle varietà più produttive?

Anche se certamente le loro varietà non si preoccupano molto del sapore e danno la priorità a quelle che resistono a lunghi tempi di trasporto e a molti giorni di sosta nei depositi dei supermercati; anche se le coltivazioni sono così meccanizzate e automatizzate che quasi non serve manodopera e l’imprenditore agricolo può controllare la produzione con il telefonino, il fattore più rilevante di questa differenza negli alimenti, non dobbiamo cercarla molto lontano, perché ha origine a pochi chilometri, nelle istallazioni del Mercabarna situato all’interno della Zona Franca.

Lo abbiamo già spiegato in altre occasioni, la globalizzazione alimentare è accompagnata da una brutale concentrazione del potere in un piccolo numero di multinazionali collocate in tutti i punti strategici della catena alimentare. Così, per esempio, sono pochissime le imprese che controllano il mercato dei semi, sono molto poche quelle che controllano la genetica animale, sono molto poche le grandi catene che si sono impadronite di tutte le vendite alla popolazione, e ovviamente sono ben poche quele quelle che fanno da intermediari tra produttori e dettaglianti.

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Gli intermediari e i grossisti, con le loro soste nel Borne e poi nel Mercabarna, e che storicamente sono stati più volte denunciati perché si appropriavano della maggior parte dei redditi agricoli, costituiscono anche essi un segmento concentrato in pochissime mani. Nel Mercabarna, i 439 depositi, che prima erano individuali, ora sono ripartiti tra 149  imprese e 11 cooperative agricole, e tra questi, in venti controllano più di un terzo del totale. In altre parole, stiamo parlando di alcuni grossisti che distribuiscono una tal quantità di merci che la loro redditività dipende da operazioni di grandi quantitativi di generi diversi, gestiti da un unico fornitore, organizzato razionalmente e con capacità di consegne rapide, che gli permettono di ridurre i costi di acquisto, di immagazzinamento e di trasporto. E questo è ciò che offre l’Olanda e che fa la differenza con gli acquisti di pomodori nella pluralità dei poderi confinanti del Parco Agrario o del Maresme.

Il rapporto al quale facciamo riferimento comprende un citazione rivelatrice del Direttore Generale del Mercabarna che già nel 2006 dichiarava che “grazie alle economie di scala, è meno costoso trasportare in nave delle mele da Singapore piuttosto che da Barcellona a Grenollers”. Se non vogliamo rinunciare al buon sapore di un pane prodotto con farine dei nostri campi e di alcuni pomodori coltivati nei nostri orti, mantenendo in tal modo in vita un territorio agricolo sano, è il momento di ignorare le economie di scala che ci stanno spingendo dritti verso un pozzo profondo.

Di 

Fonte: El Periodico de Catalugna, 12 maggio 2014

Traduzione di Alberto Castagnola per Comune-info

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