L’importazione dell’idiozia. Russia, Crimea e gas statunitense in Europa

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Tutta la manfrina dell’Ucraina e della Crimea sfocia in una sola prospettiva: l’importazione di gas statunitense in Europa al posto di quello russo. Per l’Europa è un suicidio energetico ed economico. L’importazione del gas americano starà all’Italia come l’ingresso nella Seconda guerra mondiale stette a Mussolini: solo che quanta strada, quanta sofferenza prima di arrivare al XXV Aprile…

Stentate a credere che dagli Usa importeremo solo idiozia e suicidio? Non ne dubito, è l’esatto contrario di ciò che dicono i media mainstream. Ma è la logica conseguenza di un fatto stranoto di cui i media mainstream, ostinatamente, non tengono conto: ora gli Usa non hanno gas da esportare, dal momento che sono importatori netti di gas. E allora, chiederete, perchè dare il gas all’Europa? Eh, il motivo c’è. Nel loro interesse, naturalmente: non nel nostro.

Ripassino del backgroung. Gli Usa dipendono dall’estero per quasi la metà del consumo di petrolio e per l’11% del consumo di gas (io avevo scritto che dipendono dall’estero per il 6,5 del gas: approfitto per correggere l’errore) e da circa due anni il boom del gas americano – l’aumento della produzione legato al fracking e allo shale gas – si è fermato: la produzione di gas negli Usa è stazionaria e non aumenta più.

Non starò a ripetere che il fracking ha dei costi ambientali enormi. Stavolta insisto su un altro punto: il vil denaro. Perchè negli Usa la produzione di shale gas non aumenta? Tutte le spiegazioni in questo post pubblicato in originale su “The oil crash” e tradotto in italiano sul blog di Ugo Bardi. In sostanza, siamo al “picco degli investimenti” nell’estrazione di idrocarburi, l’industria non riesce più a reggere i costi molto alti legati allo sfruttamento dei giacimenti “estremi”, i più difficili da raggiungere e sempre più spesso gli unici rimasti. Il ragionamento di “The oil crash” riguarda il petrolio, ma si adatta perfettamente anche allo shale gas statunitense. Non si adatta invece (per adesso) al gas russo, che viene estratto da giacimenti convenzionali e non attraverso il fracking.

Come si fa a convincere gli investitori a rituffarsi nello shale gas statunitense affinchè la produzione torni ad aumentare? Basta aprire loro un nuovo mercato, meglio ancora se costretto a pagare prezzi più alti. E il nuovo mercato sarà l’Unione Europea, se – e dai e fai – l’Ue e gli Usa infliggeranno alla Russia, per via della Crimea, sanzioni tali da indurla a chiudere il rubinetto dei gasdotti che portano gas all’Europa. L’Ue non avrà scelta: o stare al freddo e al buio, o accomodarsi alla cassa davanti allo Zio Sam. Con conseguente aumento delle bollette, va da sè.

Già ora per gli europei il gas statunitense sarebbe più caro del gas russo, se si tiene conto del costo del trasporto: costerebbe circa 12 dollari ogni mille piedi cubi (quando gli Usa si adatteranno ad abbandonare le unità di misura del faraone Ramsete sarà sempre troppo tardi, non fatemi fare la conversione in metri cubi), mentre ora paghiamo il gas più o meno attorno agli 11,5 dollari ogni mille piedi cubi. Figurarsi se si tratterà di acquistare gas statunitense proveniente da giacimenti più rognosi e più difficili da sfruttare, di fronte ai quali – stante l’attuale prezzo del gas – gli investitori si mostrano assai riluttanti.

Ma non si tratta solo dell’aumento delle bollette. Il prezzo dell’energia è incorporato in tutte le attività economiche e in ciò che è in vendita al supermercato; è incorporato nella produzione e nella distribuzione del cibo e degli altri beni. Pensate cosa accadrebbe alle disastrate economie europee – un Paese a caso: l’Italia – se il prezzo dell’energia dovesse aumentare.

C’è un’ulteriore tocco grottesco in questa faccenda. Le sanzioni alla Russia – la chiusura del mercato europeo al gas russo – dovrebbero punire la Russia stessa attraverso i mancati introiti. La Russia non rimarrà senza introiti. Ha un vicino di casa affamatissimo di energia. Si chiama Cina. La Russia si sta attrezzando per vendere alla Cina il suo gas.

Ci vorrà del tempo per costruire il gasdotto fra Russia e Cina. Ci vorrà del tempo per realizzare le infrastrutture che permetteranno all’Unione Europea di ricevere il gas statunitense: per fargli attraversare l’Atlantico sarà necessario ridurlo allo stato liquido e caricarlo su navi. Tuttavia, se la prospettiva non cambia, il denaro per mantenere in piedi gli insostenibili investimenti necessari ad aumentare la produzione di shale gas negli Stati Uniti verrà spillato dalle tasche europee. Lo scenario è – davvero – da economia di guerra. Compito a casa: chiedere alla nonna cosa mangiava durante la Seconda guerra mondiale.

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