Imperialismo – Costi e benefici dello sfruttamento umano

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di Gianni Tirelli

L’imperialismo si sviluppa come nuovo colonialismo tra il 1870 e il 1914 e consisteva nell’azione dei governi tesa a imporre la propria egemonia su altri paesi per sfruttarli dal punto di vista economico, assumendone il pieno controllo monopolistico delle fonti energetiche ed esportazione, soprattutto di capitali.L’imperialismo divise il mondo in quella che è ancora oggi la grande spaccatura del pianeta: nazioni ricche e nazioni povere. Se l’imperialismo è finito ormai da tempo, perché dunque esiste ancora il terzo mondo? Come mai questi popoli non sono ancora riusciti a costruire un economia propria? La verità è che l’imperialismo non è mai defunto. Chi dirige l’andamento economico delle nostre società moderne lo ha semplicemente camuffato sotto la veste di Liberismo, spacciato per progresso, civiltà, e ciclo dell’evoluzione umana e umanitaria. Una colossale menzogna!

Complesso è il sistema che questi soggetti hanno escogitato per potere sfruttare le masse. La politica imperialista si è evoluta e affinata trasformandosi nella famosa e famigerata globalizzazione.
Per fare luce su questo argomento è necessario comprendere il sistema economico in cui le nazioni più sviluppate della terra hanno deciso di vivere: il Capitalismo. Questo sistema, basato sulla libera iniziativa privata nel libero mercato, ha come carburante il profitto, ovvero, il guadagno espresso in danaro. Gli Imprenditori, per potere conseguire questo profitto devono investire il loro Capitale (ovvero costruire fabbriche, comprare mano d’opera, sfruttare a pieno regime ecc ecc…) per poi produrre un bene da immettere sul mercato. Una volta venduto, questo bene genererà capitale. Una minima parte di questo servirà per coprire le spese utilizzate per la produzione. Un’altra parte sarà destinata al guadagno dell’imprenditore investitore – il profitto.
L’impronta tipica dell’imperialismo è la disuguaglianza sociale. C’è una piccola parte di popolazione che ha la proprietà di quasi tutta la ricchezza e del potere politico, mentre la stragrande maggioranza non fa altro che servire i ricchi e i potenti col proprio lavoro.

L’economia dei paesi ricchi di oggi si basa sullo sfruttamento: le risorse minerarie dell’africa, dell’America latina e dell’Asia vengono a costare un decimo di quello che sarebbe il loro valore reale grazie alla corruzione, all’indebitamento, alla imposizione di svalutazione della moneta ai paesi poveri, e all’uso della forza tramite l’esercito o i servizi segreti per instaurare regimi amichevoli. In questo modo le industrie possono guadagnare ulteriormente utilizzando il lavoro sottopagato di cinesi, indiani, thailandesi, malesi o rumeni grazie alla delocalizzazione. Senza questi sistemi, altro che “grande crisi economica”!!! L’economia occidentale sarebbe crollata più o meno nello stesso momento in cui crollò quella sovietica.

Quali sono le conseguenze a lungo termine di un sistema imperialista e criminale? Dipende da come si comporta, da chi è al potere. Se chi comanda è sempre più egoista e al di fuori del mondo, e non si rende conto che le cose stanno precipitando, il risultato sarà il crollo logico e naturale di tutto il Sistema.

Quando i barbari divennero sempre più pressanti ai confini dell’impero romano, esso avrebbe anche potuto cercare di reagire e combatterli, ma i grandi proprietari terrieri e mercanti che costituivano il nucleo economico dello stato, preferirono non farlo, perché ciò avrebbe significato dovere pagare più tasse per finanziare gli sforzi bellici, rischiando razzie che avrebbero potuto rovinare i loro affari. Si può fare un parallelo tra questi personaggi, i banchieri e le grandi società dell’economia moderna: continuano a succhiare sangue allo stato con esenzioni fiscali, leggi a loro favore, guerre combattute per fare i loro interessi, soldi alle banche per coprire i loro errori e ingordigia. Per far questo gli stati devono ridurre la spesa pubblica e i servizi ai cittadini e privatizzare i beni dello stato. Queste entità economiche e finanziarie non si rendono conto (così facendo), che nel momento in cui servirà uno stato forte per contrastare rivolte e rivoluzioni, non ci sarà più nessuno a difendere lo stato (e quindi anche la loro esistenza e i loro privilegi).

Un sistema che non si cura dei danni che provoca ai più deboli (categoria in cui vanno inclusi i poveri nelle società occidentali, i popoli sfruttati negli altri paesi, e strangolati dalla contaminazione ambientale e alimentare), non può né durare, né creare una società felice. Questo segna la distruzione di civiltà antichissime, la nascita del “terzo mondo”, e la massima espressione dell’egemonia politica, militare, culturale ed economica dell’Europa.
L’ascesa della Germania, la crescita imperiosa degli Stati Uniti, l’imposizione del mercato e del modello occidentale a Cina e Giappone, la migrazione di enorme masse di uomini, sono le caratteristiche più macroscopiche dell’Imperialismo. Gli europei consideravano preminenti le conquiste della propria civiltà e usavano le proprie rigide idee di civiltà per giustificare l’asservimento e l’abuso degli africani – individui venduti, marchiati – con ferro rovente, come il bestiame, riassegnati con un nuovo nome. Gli africani venivano separati dalle famiglie e dagli amici e privati delle proprie identità in un deliberato procedimento teso a spezzarne la volontà e lasciarli passivi e servili, schiavizzati; venivano realmente “stagionati”. Per un periodo di due o tre anni venivano ‘addestrati’ a obbedire e a ricevere frustate, e acclimatati al proprio lavoro e alle proprie condizioni – una perversa tortura, mentale e fisica.

Dopo l’emancipazione nel 1863, nel 1866 arrivò il Ku Klux Klan a opera dei veterani dell’esercito confederato (kuklos = circolo, fratellanza), e più di 3.000 linciaggi di Neri dal 1882 al 1951 – vale a dire prima del riconoscimento dei Diritti Civili, diciamo nel 1962. E questa tortura durava per tutta la vita, trapassandoli fino alla loro discendenza, per secoli. Attentamente, abilmente programmata, sulla base di analisi costi-benefici sulle risorse, sugli esseri umani dell’Africa, e sulle merci di largo consumo.

La lettura di Lenin fa coincidere l’imperialismo con la fase suprema del capitalismo: E non si tratterebbe di una semplice congiuntura (come invece altri storici sostengono), ma propriamente dell’espressione più efficace della natura più profonda di questo modello economico. Dal punto di vista di Lenin si sovrappone in questo punto l’apice della potenza del capitalismo e il germe della crisi che, facendone esplodere limiti e contraddizioni, ne determinerà inevitabilmente la fine.
Su questa messianica considerazione di Lenin, può essere suggestivo proiettarci d’un colpo al nostro presente, sorvolando – senza toccarlo – il Novecento e ritornando quindi al presente per tentare di tracciare qualche riflessione conclusiva.

Viene così da domandarsi: ma la flessibilità assoluta del mercato del lavoro, il maggior sfruttamento, i maggiori profitti dei padroni creano più occupazione? I dati rilevati dagli osservatori economici di differente orientamento politico dimostrano che è vero il contrario. Il solo effetto di questi provvedimenti è quello di deprimere i diritti dei lavoratori, accendere la concorrenza sui mercati mediante la diminuzione del costo delle merci, aumentare i profitti a tutto danno dei lavoratori e dei loro salari, introdurre precarietà nel rapporto di lavoro, deprimere il mercato interno, accentuando una politica recessiva che a sua volta deprime l’occupazione, ma fa tanto piacere al capitale finanziario. In ultima analisi l’impatto di questi provvedimenti sul mercato del lavoro, produce effetti di segno esattamente contrario agli obbiettivi dichiarati.

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