Il miele

josephine_stairway_of_dreams_43043-1600x1200Decise di ritirarsi in campagna.

Aveva una casa e un terreno, qualche risparmio da parte e la voglia impellente di stare da solo. Annoiato dalla città, tediato dalla gente, deluso dalle donne.

Allora preferì una solitudine ricca di pensieri ad una vita insieme, magari noiosa o piena di recriminazioni o densa di intolleranze.

Con se stesso trovava un equilibrio calmo, il senso sereno delle cose.

Suo padre avrebbe approvato la sua scelta, lui così orgoglioso di quel fazzoletto di terra e di quella casa, semplice e confortevole dove, appena poteva, andava a riposare, a badare ai fiori, a curare l’orto.

Tutte le domeniche, poi, le trascorrevano lì in campagna.

Finchè era piccolo, il figlio stava con i genitori, ma quando crebbe, gli sembrò di sprecare tempo ad accompagnarli: lasciò che i suoi vecchi andassero da soli.

Poi si trasferirono a viverci il loro ultimo tempo.

Lui, invece, rimase in città: il lavoro, gli amici, le donne, le uscite, gli svaghi.

Nella casa in campagna si recò solo qualche volta.

Poi tornò per salutare i suoi quando, prima l’uno poi l’altra, se ne andarono quietamente, sereni e pacati come erano vissuti.

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Ma col tempo una noia crescente, un’insoddisfazione imprecisa, un tedio quasi giornaliero.

Finito anche l’ultimo amore, il più sofferto, decise di chiudere con i sentimenti e appena poté, abbandonò il lavoro, non sopportando più la quotidianità dell’ufficio, i caffè insapori alla macchinetta, le battute grevi di qualche collega.

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Ci volle un po’ a sistemare il giardino, ma la terra non lo tradì.

Cominciarono a rinverdire le siepi e sbocciarono i fiori , poi prese vigore anche l’orto.

Lui scoprì il conforto dell’alba, scrutata al risveglio, e la consolazione di una cena serena all’imbrunire.

E poi sentiva che in quelle stanze, dove negli ultimi anni i suoi avevano vissuto, lo accoglieva un affetto infinito, la dolcezza di un abbraccio leggero.

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Molte cose della vita in campagna lo stupivano: i colori, gli odori, la fatica immensa degli insetti.

Più di tutto lo colpì il volo fattivo delle api: ammirava i loro corpi operosi, il rovistare tra i fiori.

Oltre il campo, le arnie del vicino: ogni tanto scambiava con lui due parole.

Quello gli fece assaggiare il miele delle sue api, orgoglioso per le lodi sincere che l’altro gli rivolse.

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Sul davanzale della finestra lui aveva dei vasi di fiori, che attiravano insetti.

Guardando attentamente le api, prese a distinguerne una, armoniosa e sottile.

Bella davvero.

Prima pensava che quegli insetti fossero tutti uguali, ma riconosceva le forme leggere e le dimensioni perfette, quando la vedeva intenta sui vasi.

Si informò dal vicino.

Quello gli spiegò che le autunnali erano più longeve delle api estive.

Lui non chiese il perché, ma si consolò.

Era autunno e l’ape che ammirava sarebbe vissuta ancora qualche tempo.

Guardandola, lui si diceva che al mondo c’erano cose più importanti: le grandi scelte politiche, l’economia, la violenza, la fame, la sofferenza degli umili, la gioia e il dolore.

Ma, riflettendo, si convinse che anche nell’esile perfezione di quella creatura vibrava l’anima del mondo.

E il suo respiro eterno.

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Una mattina, però, nell’aprire le imposte, la trovò adagiata sul dorso, il corpo incurvato, le ali accostate.

Era andata a morire proprio su quel davanzale, forse estenuata, forse ormai troppo anziana.

Accanto alle zampe rapprese, colto da stupore commosso, lui vide brillare una goccia di miele, ambrata e splendente.

E volle pensare che fosse il dono prezioso ed estremo che lei gli aveva portato.

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Certo, c’erano cose ben più importanti: le grandi scelte politiche, l’economia, la violenza, la fame, la sofferenza degli umili, la gioia e il dolore.

Ma la vita e la morte avevano ovunque la stessa potenza, lo stesso mistero velato.

E recavano insieme l’arcana magia dell’eterno.

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Una sera, una voce di donna oltre il giardino: lui si affacciò.

Passava così poca gente da quelle parti.

Le andò accanto e lei chiese aiuto, perché si era confusa e aveva sbagliato percorso.

E, disse, aveva lasciato la macchina appena oltre il viale d’accesso.

Lui si offrì di condurre la donna alla strada che lei aveva mancato.

Poi la guardò.

Era matura e gradevole.

Il volto aperto, l’aspetto cordiale.

Si avviarono all’auto e lui rallentò per procedere insieme.

Ma una volta arrivati, si stupì a scrutarla negli occhi: brillavano di un riflesso caldo, avevano un colore raro.

Castano chiaro ed ambrato.

Splendevano proprio come gocce di miele.

Gloria Lai

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