Farmageddon racconta l’orrore degli allevamenti intensivi

141745485-e32aaae8-2a0a-432f-a141-0e9079a6fa44Il libro Philip Lymbery è una sorta di un’indagine che attraversa i cinque continenti e propone il resoconto delle devastanti modalità (per gli animali, per l’ambiente e per la nostra salute) di produzione di carne e pesce, tali da suscitare ben più di una riflessione. Tutte da leggere

PERCHÉ grande dev’essere sinonimo di cattivo?” E’ la prima domanda da cui muove Farmageddon  –  il vero prezzo della carne economica, da domani in libreria (Nutrimenti, 19 euro) di Philip Lymbery, direttore generale della ong CIWF-Compassion in World Farming, scritto in collaborazione con la giornalista Isabel Oakeshott. Non si tratta di un libro animalista, né per principio contrario all’allevamento con scopi alimentari (CIFW fu fondata nel 1967 da Peter Roberts, allevatore di mucche da latte deciso a combattere le crudeltà del sistema intensivo) ma di un’indagine che attraversa i cinque continenti e propone il resoconto delle odierne modalità di produzione di carne e pesce, tali da suscitare ben più di una riflessione.

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Farmageddon racconta l'orrore degli allevamenti intensivi

“Quanto proviene dall’allevamento intensivo tutti noi lo paghiamo tre volte”, spiega Lymbery: “La prima alla cassa, la seconda con gli enormi finanziamenti necessari a sostenere la zootecnia previsti in ambito europeo dalla Politica Agricola Comunitaria, la terza con la spesa imposta dagli interventi per rimediare all’inquinamento ambientale causato dagli allevamenti stessi, oltre a quella sanitaria provocata dagli effetti di un cibo di qualità sempre più scarsa”.

Farmageddon racconta l'orrore degli allevamenti intensivi

Malattie gravi ma anche, apparentemente, banali. Si stima che entro il 2030 il metà degli americani adulti sarà obesa proprio a causa della carne industriale economica, poco nutriente e molto calorica, mentre i costi della salute legati all’obesità cresceranno di 48 miliardi di dollari negli USA e di circa un miliardo e 250mila sterline in Gran Bretagna. Intanto che piccole popolazioni indigene come i Toba in Argentina vengono spazzate via assieme alla vegetazione, per far posto alla coltivazione massiva di soia ogm, destinata a biocarburante e allevamenti intensivi. Nel 2009 la comunità internazionale ha prodotto più di 80 miliardi di tonnellate di pollo ricavate da circa 55 miliardi di animali i quali, se tenuti all’aperto, occuperebbero uno spazio pari alle intere Hawai.

Farmageddon racconta l'orrore degli allevamenti intensivi

“L’allevamento intensivo reca sofferenza agli animali e danno alle comunità locali, costrette a subirne inquinamento e cattivi odori. Gli stessi operai impiegati in simili strutture risentono di condizioni di lavoro estreme e degli elevati livelli di ammoniaca con cui entrano a contatto. Il livello di antibiotici che si usano per allontanare le malattie da ambienti così malsani contribuisce alla proliferazione di superbatteri antibiotico resistenti”, prosegue Lymbery. “Ciò nonostante il sistema intensivo continua a prevalere. Sono in gioco enormi interessi che permettono introiti straordinari grazie a una formula pensata proprio per i grandi profitti, anziché per  nutrire le persone in modo dignitoso. I governi perseguono apparenti successi sul breve periodo, senza prendere atto del danno a lungo termine: l’allevamento intensivo non è sostenibile per nessuno”.

Farmageddon racconta l'orrore degli allevamenti intensivi

La California è ormai invasa dalle colossali aziende del latte, mostri in cui sono stipate decine di migliaia di mucche alla volta che a stento, nei recinti o nei capannoni, riescono a muovere un passo, intanto che i loro liquami avvelenati penetrano nel terreno e nei corsi d’acqua. Frattanto la corsa cinese alla produzione suina è carica di orrore fantascientifico. Stipulato nel 2011 un accordo d’oro con la Gran Bretagna, interi Boeing 742 affittati al costo di 420mila euro a viaggio hanno portato migliaia di maiali vivi e fertili  “di prima qualità” negli stabulari orientali, dove tutto è così automatizzato che un uomo solo può gestire tremila animali spingendo qualche bottone. Seguendo la politica della più sregolata quantità si sono selezionati esemplari così grassi da non potersi reggere sulle fragili zampe, imbottiti di sostanze pericolose, e  interi laghi sono tanto contaminati dai loro liquami che l’acqua non è più potabile. Del resto, ricorda Lymbery, alla fine degli anni 50 Mao ordinò alla popolazione di sterminare con ogni mezzo possibile i passeri, imputando loro un eccessivo consumo di grano. Salvo poi accorgersi, a strage avvenuta (alla fine del primo giorno solo a Shangai la stima era di 194.432 uccellini uccisi), che private del loro nemico naturale locuste e cavallette si riproducevano a dismisura, distruggendo i raccolti.

L’industria ittica non è da meno: il paradiso naturale delle Mauritius è sfregiato da almeno venti colossali stabulazioni intensive sotto i pontoni galleggianti, che destano preoccupazione per la pulizia delle acque e l’integrità delle barriere coralline. Essi sono una piccola parte di quei cento miliardi di pesci allevati ogni anno sul Pianeta, saccheggiando le ormai poverissime risorse marine. Per produrre una tonnellata di trota o salmone di allevamento si impiegano fra le tre e le cinque tonnellate di piccoli pesci.

Intanto, racconta Lymbery, l’allevamento intensivo si giova del supporto di stuoli di veterinari i quali non di rado hanno rinnegato l’originario approccio alla professione in favore di orari fissi di lavoro e poco intervento pratico, rarefatto anche allo scopo di non finire nei guai. La testimonianza di un veterinario inglese, sfociata in una vicenda giudiziaria, denuncia mancati stordimenti dell’animale sezionato e maltrattamenti gratuiti nei mattatoi commessi da operatori frustrati, ubriachi e drogati.  In pochi trovano il coraggio di opporsi:  “Sei circondato da morte, rumore, merda e cemento, ma ti ci abitui dopo un po’… se fermi la catena per qualche motivo indispettisci operai, manager, ispettori, persino i supermercati”.

“In questo momento 60 milioni di italiani condividono il loro territorio con 136 milioni di polli, 8.7 milioni di suini, 6.1 milioni di bovini, 73.5 milioni di conigli e 25.2 milioni di tacchini. Oltre il 50% dei cereali prodotti nella Penisola è utilizzato per nutrire gli animali e il 36% del terreno finalizzato alla coltivazione dei cereali è utilizzato in ultimo per nutrire gli animali,” racconta Annamaria Pisapia, direttore di CIWF Italia.  “Negli allevamenti tricolori viene somministrato il 71% degli antibiotici. Calcolando per ciascun chilogrammo di biomassa, gli animali ne consumano il doppio delle persone, e l’Italia si piazza al terzo posto in Europa come utilizzo di questi farmaci negli stabulari, dopo Spagna e Germania. Ogni giorno, nel nostro Paese, solo gli allevamenti di suini producono 52mila tonnellate di letame e il 79% delle emissioni di ammoniaca proviene dall’allevamento assieme al 72%  delle emissioni di gas serra generati dall’agricoltura sono  prodotti dall’allevamento (fonte ISPRA)”.

In molti ormai dicono no allo sfruttamento animale in nome del pari diritto alla vita, e abbracciano la soluzione vegana o vegetariana; Lymbery propone un compromesso: “Sostenere una produzione di cibo che sia in grado di rimettere gli animali all’aria aperta, al pascolo, anziché dentro capannoni; un allevamento estensivo connesso alla terra, in grado di fornire cibo più nutriente con metodi che risultano migliori sia per il territorio che per il benessere animale. I governi di tutto il mondo possono contribuire a migliorare la salute delle loro nazioni e salvaguardare le future scorte alimentari basandosi su risorse naturali come i pascoli. Cibo che insomma provenga da fattorie, e non da fabbriche”.

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