Donne lasciate sole …

di Simone Perotti

Nel mondo «privo» di uomini molte donne rimangono sole, per mere ragioni statistiche o per effetto della competizione, o perché non vogliono partecipare alla sfida quotidiana. Un fenomeno vasto e sconcertante

Simone Perotti Tra le donne della grande metropoli di New York circola una condivisa consapevolezza: ogni giorno, quando scendi in strada, devi essere perfetta, vestita «da gara», ma soprattutto pronta e concentrata. Gli uomini in circolazione sono pochi, soprattutto se dal totale dei maschi togli quelli sposati e i gay, tantissimi nella Grande Mela. Meglio non farsi trovare sguarnite. La prontezza è la virtù più efficace del predatore, soprattutto quando le prede scarseggiano. Uno degli effetti della confusione di genere della nostra epoca è che la donna è diventata cacciatrice, un ruolo storicamente attribuito all’uomo. La necessità stimola i cambiamenti e sviluppa le virtù, anche se con effetti diversi. Infatti nel mondo «privo» di uomini molte donne rimangono sole, per mere ragioni statistiche o per effetto della competizione, o perché non vogliono partecipare alla sfida quotidiana. Non a tutte va di andare a caccia, non tutte nascono con l’arco in pugno e la faretra piena di dardi. Non tutti i dinosauri erano pronti al cambiamento, rapidi nello sviluppare doti anfibie, unghie capaci di offendere, denti aguzzi con i quali sbranare. L’evoluzione ha i suoi risvolti crudeli. Una volta, tuttavia, le «zitelle» erano rare, e c’era sempre un motivo per la loro solitudine. Non c’era bisogno di spiegazioni, si capiva. Oggi no. Al contrario. Se anche qualche caratteristica, qualche specificità, potrebbe far supporre cause e ragioni individuali, la vastità del fenomeno è sconcertante. Donne che hanno perso il passo mentre il gruppo accelerava, e ora chiudono la fila. Donne lasciate sole dalla nostra epoca, dimenticate, senza motivi reali.

Lorenza ha 35 anni e vive in una grande città. Nata in un paesino delle Marche, era già fuori di casa a 19 anni. Ha convissuto con un’altra ragazza per tutto il ciclo di studi e per i primi cinque anni di lavoro. Quando la sua convivente si è fidanzata ed è andata via, è rimasta sola. È sempre stata perfettamente autonoma, ha un suo ritmo e una sua organizzazione. Ha solo qualche problema di peso, ma non è stato sempre così, a giudicare da come appare nelle fotografie che tiene sul comodino e sulla libreria in salotto. Della sua storia passata nessuno sa niente di preciso. Sembra che abbia avuto una storia d’amore finita male, prima dei 25 anni. Uno sportivo, forse un ciclista che tentava il salto verso il professionismo, pronto a tutto pur di arrivare. Anche Lorenza correva. Le donne lo fanno, a volte: incontrano un uomo che ha un pallino, una grande passione, e la fanno propria. I malevoli dicono che si fanno plagiare. I benevoli sostengono che si tratta di apertura, accoglienza di un sogno altrui, generosità e condivisione. Scelte fatte per amore. In ogni caso, come sembra, lui correva in bicicletta e lei anche. E come lui si dopava. Non aveva le sue stesse ambizioni agonistiche, ma era portata, diceva lui, aveva la muscolatura adatta. Può darsi che Lorenza non sia mai stata una silfide, semmai una ragazza robusta con un viso dolcissimo, ma quando la storia è finita qualcosa è cambiato. Dentro e fuori. Quando si è giovani si è anche fragili, talvolta. Quando si ama tanto da drogarsi per correre, qualcosa rischia di rompersi. Oggi Lorenza lavora tanto, ed è molto brava. Negli ultimi vent’anni il settore del risparmio gestito ha avuto momenti di euforia e di depressione, fino al campo di macerie dei nostri giorni. La forte riduzione del volume d’affari ha provocato esuberi e licenziamenti degli addetti dell’intero settore, ma di Lorenza nessuno ha mai saputo fare a meno: impiegata, assistente, poi venditrice, e infine supervisore di venditori. La crisi c’è, ma dipende sempre da chi sei. Lorenza è seria e precisa. È in ufficio fin dal mattino presto. Vive in azienda, esce solo quando non c’è più niente da fare. È sveglia, conosce la macchina ma non si limita ad applicare le regole. Trova soluzioni, escogita modi nuovi per affrontare i problemi. È creativa. Ed è anche simpatica, cosa rara. Il suo umorismo è rapido, a volte tagliente, e le piace ridere alle battute degli altri. Il suo primo capo la considerava un «alto potenziale». I capi seguenti ne hanno colto subito l’intelligenza, l’abnegazione, e l’hanno promossa. Di collaboratori come Lorenza nessuno si priverebbe mai. È lei, semmai, a privarsi di qualcosa. Nessuno, da più di dieci anni, l’ha mai vista con un fidanzato.

Se Berenice si vestisse come si deve, tutti gli uomini si girerebbero a guardarla. L’ovale del suo viso è aggraziato, le sue labbra sono ben disegnate e di un rosa marcato anche senza rossetto, gli zigomi sono in evidenza, rotondi ma pronunciati. Ha occhi grandi, da gatta, e guarda sempre il mondo da sotto in su, cosa che un uomo trova irresistibile. I suoi capelli sono sempre molto corti. Nessuno si ricorda di averle visto indosso una gonna né un paio di scarpe con il tacco, neppure basso. Pare che i colori le si spengano un po’ addosso e che le maglie accollate si affastellino l’una sull’altra come d’autunno sotto gli alberi le foglie. Non conosce le mode; si vede che non mette alcun impegno nella scelta degli abiti. Ciò che colpisce di Berenice è l’espressione: tutto fuorché rassegnata. Nei suoi begli occhi c’è un lampo, un guizzo semisepolto ma ancora visibile, che farebbe pensare chissà cosa. E infatti tutti i colleghi pensano chissà cosa, ma dalle frequenti incursioni nella sua stanza, in fondo al corridoio della direzione generale, nessuno è mai tornato con nulla di concreto. Tanto che l’uno dopo l’altro hanno lasciato perdere, distratti da qualche collega più disponibile. Berenice vive sola, da sempre. Intorno ai trent’anni ha cominciato a lavorare in una grande azienda informatica, nella segreteria dei capi, e grazie alla sua pazienza e al sostegno professionale di qualche dirigente è finita prima nell’area dell’amministrazione, poi in quella legale. Alla soglia dei quarant’anni Berenice è a una svolta. In quella grande città ci sono opportunità di ogni tipo per divertirsi, seguire le attività culturali, incontrare uomini e donne, vivere allegramente e in modo spensierato. Ma se lei non ne approfitta, perché restare? Se ha tentato cento volte di uscire, di frequentare i locali degli aperitivi e le feste, ed è tornata a casa ogni volta con un sentimento di estraneità e di distacco, cosa può farci? Ormai declina ogni invito e ogni occasione prima ancora che si presentino. Quante serate sul divano di casa può ricordare? Quanti libri, quanto internet, quanto piacere, pur raro, dato e ricevuto da sé, senza condivisione? Gli uomini che incontra non le dicono nulla, non sa cosa rispondere ai loro messaggi scialbi, ammiccanti o troppo diretti. Se abiti in una grande città ma non rispondi ai messaggi, cosa ci vivi a fare? Le sembra di volere qualcosa di diverso, ma non sa esattamente cosa. Forse qualcuno che non chieda, meno educato, meno timoroso, un po’ irruento. Pensa che in lei ci sia qualcosa che non va: un blocco, un muro che qualcuno dovrebbe sfondare senza bussare. Ma spalle grosse non ne conosce. Uomini che abbiano voglia di sfidare quel muro, neppure. È possibile sentirsi in disarmonia con un’intera epoca? E con gli uomini di quell’epoca in particolare? Berenice decide di prendere un part-time e di lavorare da casa. Si trasferisce dalla Lombardia alla Venezia Giulia. Due giorni a settimana tornerà nella grande città, se serve, ma per il resto del tempo se ne starà al mare. È disposta a perdere le sue sicurezze, il posto a tempo indeterminato, i benefit, pur di starsene da sola, come murata viva nella sua stessa vita. Tanto vale avere di fronte agli occhi il mare, visto che nessuno è capace di scavalcare i bastioni e di portarla altrove. Vive così da quasi cinque anni. Se passate davanti al suo appartamento potete vederla sul suo ampio terrazzo, con l’iPad in mano, mentre lavora o forse legge un ebook con gli occhi che di tanto in tanto si perdono lungo la costa. Sola.

Anche Lory vive sola. Ha 45 anni e nessuno l’ha mai vista con un uomo. È nata in Campania, ma è cresciuta a Torino. Ha studiato scienze politiche e si è laureata giovanissima con il massimo dei voti. Ha iniziato subito a lavorare, non ha neppure dovuto mandare un curriculum. È entrata nella più importante agenzia pubblicitaria italiana, dal gradino più basso. Ci mancava che le facessero fare le pulizie, per il resto le hanno chiesto di tutto. Lei non ha battuto ciglio. Il nonno, da piccola, le ripeteva: «Se uno non dice no, gli altri gli dicono sì». Lei non capiva esattamente cosa intendesse quell’uomo anziano e mite, con il viso scavato e un lieve sorriso sempre sulle labbra, piegato sulla terra dalla mattina alla sera, ma aveva preso sul serio la sua lezione. Niente no, solo sì. Per i nati negli anni Sessanta è stata quasi una maledizione. E a furia di dire sì aveva fatto un po’ di strada. I genitori le hanno comprato un piccolo appartamento con cucina, camera da letto, bagno e terrazzino verso l’interno del palazzo. Nelle rare giornate estive in cui riesce a tornare prima del tramonto Lory ha trovato su quel balcone pace e riposo. Un tavolino di bambù, una poltroncina di vimini, un cuscino, un posacenere. Un bicchiere di vino, una sigaretta, un buon libro in cui perdersi e viaggiare. Non è forse una privilegiata? Lory ha pensato spesso di sì. Alla sua porta però non ha mai bussato nessuno. Lory non è una modella, ma non si può dire che sia brutta. Ha l’acume e l’umiltà delle persone intelligenti, dunque non teme di dire la propria, e ha una certa velocità nel parlare, retaggio dei ritmi serrati dell’agenzia di pubblicità. È una grande esperta di cinema: non si lascia mai sfuggire una rassegna estiva o una retrospettiva sui grandi maestri della regia. Legge tantissimo, ogni volta che può. A volte divora romanzi che la emozionano e l’avvincono, anche se dopo due mesi non saprebbe ricordarne la trama. Quella lettura così veloce, compulsiva, sembra più un modo per evadere, per fuggire dalla realtà, che amore per la letteratura. Molte donne leggono così. Lory ha accolto in casa sua pochi uomini, rari come apparizioni. Quando beve un bicchiere di troppo, dopo una giornata dura che ha minato le sue barriere difensive, Lory se ne domanda il motivo. Il suo sguardo vaga sul cortile interno, tra il gatto che dorme sulla poltrona nella casa di fronte e il suono attutito di un televisore acceso. Ricorda poco, senza emozione. Non si commuove né rimpiange. Se un uomo suonasse ora al campanello lo farebbe entrare, lo ascolterebbe. Sarebbe bello preparare un vassoio con due tartine e due bicchieri. Sul terrazzino mancherebbe una sedia. Potrebbe prendere quella della cucina, ma ci sarà spazio sufficiente per due? Il giorno che Lory si alza per fare la prova è soddisfatta. Ci sta pure il tavolino, quasi al centro. È un bell’angolo per chiacchierare. Sembra fatto apposta…. Poi il sorriso svanisce. Si accorge che ha una lacrima sulla guancia.

Capitolo tratto dal libro “Dove sono gli uomini?” (Chiarelettere)

Dal blog di Simone Perotti

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