Dagli Stati Uniti all’Italia, passando per l’India e il Messico. Una storia degli Ogm tutta da raccontare

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di Maria Fiano, tratto da Coltiva Condividendo

Metà degli anni ’90, Stati Uniti. Viene coltivata per la prima volta la soia Roundup Ready, modificata geneticamente dalla Monsanto. E’ il 1996 e, secondo la Monsanto, si tratta della prima coltivazione ogm ad essere autorizzata. Cos’ha di speciale questa soia “Pronta per il Roundup”? Grazie ad un gene opportunamente selezionato e introdotto nelle sue cellule questa soia  produce una proteina che permette alla pianta di resistere al Roundup, un potente erbicida ad ampio spettro molto diffuso tra grandi e piccoli agricoltori, prodotto anch’esso dalla Monsanto.  Quando questo potente erbicida viene spruzzato sui campi, muore tutto, tranne la soia transgenica.

E’ la promessa di un futuro di cibo, salute e speranza, come propaganda la stessa Monsanto alla fine degli anni ’90. Una promessa annunciata. Facciamo un passo indietro.

Sempre negli Stati Uniti, 1992. La Food and Drug Administration, l’ente americano per il controllo di alimenti e farmaci, ammette il principio della equivalenza sostanziale:  non esiste alcuna differenza tra prodotti transgenici e convenzionali. Questo principio garantisce agli ogm una facile immissione nel mercato americano.

Così 10 anni dopo, sempre negli Stati Uniti. Il 90% della soia immessa nel mercato è transgenica. Il 70% degli alimenti venduti contiene ogm. E non c’è nessuna etichetta che segnali la presenza di ogm.

Guardiamo più da vicino le grandi promesse della rivoluzione transgenica: 1. Meno erbicidi. 2. Migliore qualità e massimo rendimento delle piante. 3. Nessun pericolo per la salute. 4. Nessun pericolo di contaminazione con coltivazioni convenzionali o biologiche.

Partiamo dalla prima. Ci spostiamo in India, 2001. Il governo autorizza le coltivazioni transgeniche, Viene così introdotto il Bollgard un cotone BT  modificato per produrre un insetticida contro un parassita della pianta. Gli obiettivi sono seducenti: ridurre del 78% l’uso dei pesticidi. Aumentare il rendimento del 30%. I dati comparativi raccolti anno dopo anno non confermano le promesse tanto attese. Il parassita resiste costringendo gli agricoltori a ricorrere di nuovo agli erbicidi. L’uso di sostanze chimiche, generalizzato (e non “quando serve”) produce, infatti, parassiti sempre più resistenti. Inoltre nel 2006 una malattia che colpisce le coltivazioni transgeniche, la Rizhoctonia, distrugge i raccolti.

Qualità e rendimento. Ad oggi esistono due tipi di ogm: quelli resistenti agli erbicidi (come la soia Roundup Ready) e quelli resistenti ai parassiti (come il cotone BT). Gli ogm resistenti agli erbicidi appartengono alle stesse aziende che producono gli erbicidi stessi. La stessa azienda vende sementi e erbicidi.  Entrambi brevettati. Nel mondo sono solo 4 le colture ogm (soia, mais, cotone e colza che rappresentano il 95% delle colture transgeniche). Solo 2 i caratteri geneticamente indotti che hanno acquisito importanza dal punto di vista commerciale. Le piante gm non hanno raggiunto le promesse tanto attese.

Salute. Scozia, 1998. Prima di introdurre coltivazioni transgeniche in Gran Bretagna un importante istituto di ricerca analizza gli effetti dell’introduzione di un gene di una proteina insetticida, la lectina, nelle cellule delle patate. I topi sottoposti a sperimentazione trattano le patate transgeniche come corpi estranei. L’esito della ricerca, opportunamente pubblicato, evidenzia che il problema non è il gene in sè ma la modificazione della cellula che può avere effetti non attesi e non prevedibili. Ancora. Australia, 2005. Alcuni ricercatori vogliono rendere i piselli più resistenti agli attacchi di un parassita. Inseriscono così nelle sue cellule un gene presente nel fagiolo. I topi nutriti con i piselli così modificati sviluppano infiammazioni e allergie. La sperimentazione viene interrotta.

Contaminazione. Messico, regione di Oaxaca, 2001. Le analisi effettuate su diversi campioni di mais convenzionale rivelano tracce di dna transgenico proveniente dal mais ogm degli Stati Uniti. L’incrocio del mais transgenico con quello locale non è controllabile, in quanto avviene attraverso i pollini.

Veniamo a noi. Italia, provincia di Pordenone, località Vivaro. Siamo nell’estate del 2013. L’imprenditore agricolo Giorgio Fidenato coltiva (per la seconda volta) nei suoi terreni mais Mon810, transgenico. Un mese dopo  i ministri delle Politiche agricole (Nunzia De Girolamo), dell’Ambiente (Andrea Orlando) e della Salute (Beatrice Lorenzin) firmano un decreto che vieta la coltivazione del mais Mon810 in Italia.

L’Italia, a dispetto di questo decreto, non è un paese ogm free: innanzitutto perché non può  limitare le importazioni che sono autorizzate dalla Unione Europea; in secondo luogo perché la parte dei mangimi utilizzati negli allevamenti italiani (non biologici) sono costituiti da soia e mais geneticamente modificati importati da Stati Uniti, Canda e America Latina.

Il rischio più grosso che si sta correndo è quello della “coesistenza” (già espresso nella Raccomandazione della Commissione 2003/556/CE) che apre sulla possibilità di coltivare piante gm nei Paesi dell’Unione Europea. Il pericolo non è solo legato alla contaminazione transgenica ma anche e soprattutto alle conseguenze dei trattamenti erbicidi applicati alle colture ogm.

Ma c’è un’altra storia da raccontare che ha a che fare con la brevettabilità del vivente. Attraverso gli ogm le aziende biotecnologiche stanno mettendo mano sulla riproduzione riuscendo a brevettare un gene o un pezzo di dna. Controllare la riproduzione significa controllare l’alimentazione, La storia degli ogm è una storia lunga che parla di minaccia alla biodiversità e alla sovranità alimentare.  E’ una storia che parla di noi e che ha bisogno di noi per essere raccontata, diffusa e fermata.

Strasburgo. 16 gennaio 2014. Il parlamento europeo vota una risoluzione con cui chiede al Consiglio dell’UE di non autorizzare la coltivazione del mais transgenico Pioneer 1507 modificato per produrre una tossina pesticida e resistente all’erbicida Glufosinato Ammonio, sollecitando lo stesso Consiglio UE, che dovrà esprimersi sul Pioneer 1507 il prossimo 8 febbraio, “a non proporre o rinnovare le autorizzazioni di qualsiasi varietà ogm fino a quando non siano stati migliorati i metodi di valutazione del rischio”.

Italia: Veneto e Friuli. 1 febbraio 2014. “Cibo sano per tutti” una giornata di informazione, sensibilizzazione, di protesta contro gli ogm, per difendere la biodiversità. C’è bisogno di tutti noi.

Vai all’appello del 1 febbraio con il calendario delle iniziative: http://coltivarcondividendo.blogspot.it/2014/01/1-febbraio-contro-gli-ogm-abbiamo.html

Fonte

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