C’era una volta una stella.

di Francesco Salistrari.
La vita è fatta di storie.
Storie da raccontare, storie da ascoltare. Storie da cui trarre insegnamenti, o avvertimenti, o principi, o tutto ciò che si vuole.
Ed esistono storie che nessuno racconta o che nessuno vuole ascoltare.
La fortuna di una storia rispetto ad un’altra, non dipende dal narratore, almeno non sempre, perchè ci sono storie fuori dal tempo. Ed essere fuori dal tempo, per una storia, può significare due cose, entrambi diverse e antitetiche l’una all’altra.
Infatti, ci sono storie  fuori dal tempo che sono tali perchè capaci di attraversare i secoli, persino i millenni e camminare passo passo con l’uomo, ad accompagnarne pensieri, emozioni, a determinarne i comportamenti, persino.
Ed esistono storie fuori dal tempo nel senso che anche quando raccontate non riescono a diventare parte della cultura generale di un’epoca, ma restano relegate nell’oblio, condivise e tramandate in circoli ristretti, incapaci di imporsi, di lasciare una traccia profonda nel comune sentire.
Può succedere che alcune di queste storie non siano effettivamente capaci di toccare l’animo umano, ma ne esistono alcune che potrebbero esserlo, ma non lo fanno per una svariata serie di motivi. Uno dei quali sicuramente è che una società non è ancora pronta ad accoglierle, ad accettarle, a farle sue, a sentirle nel profondo di sé stessa. E capita anche che, quando ciò avviene, avvenga in maniera repentina, esplodendo nella coscienza sociale come una bomba, regalando sprazzi di consapevolezza prima di allora inimmaginabili, emozioni e sensazioni impensabili, squarci di verità fino ad allora celati.
Ecco, oggi, vorrei raccontarvi una di queste storie.
Una di quelle che potrebbe cambiare la percezione del mondo, innalzare l’animo umano su vette fin’ora mai raggiunte, o restare nell’oblio per sempre, incapace di sfiorare le certezze dell’uomo, di metterne in discussione gli assiomi, di regalare un sogno all’intera umanità.
Non pretendo di essere un buon cantastorie. Perciò perdonatemi se tentando di farlo, probabilmente non ne sarò all’altezza. La storia che sto per raccontarvi contiene dentro di sé i germogli che possono farla fiorire in tutta la sua immane bellezza, perciò se non fossi capace di trasmetterne con capacità i suoi valori, non credo le farei un torto, semmai sarei stato, in qualche modo, complice di una sua, seppur minima, diffusione, in vista di quella, universale, che merita.
Cominciamo dunque.
La storia che voglio raccontarvi, risale all’incirca a quaranta anni fa. E tutto cominciò così.
Era il 1960, quando due scienziati, precisamente due astronomi, Fred Hoyle e il suo allievo Chandra Wickramasinghe, scrutavano lo spazio con i loro strumenti.
Cercavano qualcosa, in mezzo a quelle che vengono chiamate “nubi interstellari”. Le osservavano ormai da anni, basandosi sulla teoria riconosciuta, ricercando dati da comparare, valutare, dimostrare.
Quegli ammassi di polvere stellare, che rappresentano delle vere e proprie fucine di stelle, venivano analizzati dai due scienziati attraverso l’osservazione degli spettri di luce. Quando si cimentarono su questo problema, nel 1960, la teoria accettata prevedeva che lo spettro di estinzione della luce potesse essere adeguatamente spiegato con l’esistenza di grani di grafite; la insoddisfacente corrispondenza tra gli spettri teorici e quelli effettivamente osservati, spinsero Hoyle e Wickramasinghe a cercare altre soluzioni impiegando molecole più strettamente legate alla biologia. Nel 1968 nella polvere interstellare vennero identificate molecole policicliche aromatiche. Nel 1972 si consolidò la evidenza della presenza di porfirina, mentre nel 1974 Wickramasinghe dimostrò che nello spazio sono presenti polimeri organici complessi, specificatamente poliformaldeide ,acido formico, etanolo e radicali. Tutte molecole strettamente collegate alla biologia. Dalla metà degli anni 70 Hoyle e Wickramasinghe si convinsero che i polimeri organici costituissero una parte importante della polvere interstellare e, sebbene ai tempi questa opinione fosse considerata al limite della fantasia, al giorno d’oggi è stata ampiamente dimostrata.
Le implicazioni di una simile scoperta non furono (e in larga parte ancora non lo sono) pienamente comprese e valutate. Scoprire molecole organiche complesse nelle nubi interstellari, potrebbe significare tutto e niente. Per decenni questo favorì l’emergere delle teorie dette della pansmermia, che tentavano di dare una spiegazione esogena alla comparsa della vita sul nostro pianeta (esogenesi), ma che ancora oggi non sono pienamente accettate e verificate.
Le teorie sulle origini della vita sulla Terra, sono tante e tante sono le interpretazioni. Quello che è certo è che ancora una risposta definitiva non è stata fornita.
La scoperta di Hoyle e Wickramasinghe comunque fu il punto di avvio di una profonda discussione su questo tema e diede modo a molti scienziati di riflettere (e a molti di rifiutare) le teorie sulle origini della vita fino a quel momento considerate più attendibili. Il tutto si inserì nel dibattito sempre acceso tra scienziati “creazionisti” e scienziati “atei” e diede nuova linfa a tali storiche polemiche.
Ma la scoperta dei due astronomi, probabilmente ha in sé qualcosa di molto più importante. Un messaggio enormemente più grande di quello che è il “semplice” spiegare l’origine della vita su un singolo, piccolo, infinitesimale, pianeta di un singolo, piccolo, infinitesimale sistema solare di una delle infinite galassie dell’universo. Perchè la storia di questa scoperta ci racconta qualcosa di più. Qualcosa che va aldilà. Qualcosa che potrebbe addirittura mettere d’accordo tutti, “creazionisti” e “atei”. Qualcosa che potrebbe farci intravedere aldilà del velo dei nostri limitati preconcetti.
Molecole organiche nello spazio. Molecole organiche che si formano nelle nubi derivanti da antichissime esplosioni di stelle e che un giorno, condensandosi, daranno vita a nuove stelle, nuovi pianeti, nuovi sistemi solari.
E questa storia ci parla delle stelle, quindi del nostro stesso sole, come nessuno ce le ha mai raccontate e ci fa vedere qualcosa che va aldilà di tutti i dubbi, di tutte le incertezze, interpretazioni, illusioni, fraintendimenti, teorie, idee, manipolazioni, menzogne. Ci fa vedere la dinamica della vita operare dove era impensabile potesse farlo. Ci fa vedere i suoi mattoni fondamentali formarsi in regioni remote, lontano da tutto quello che solitamente accostiamo al termine vita, all’immagine che solitamente ce ne facciamo.
Pensate per un attimo: molecole organiche laddove non esiste nemmeno luce, non esiste ossigeno, sospese nel vuoto, frutto dell’esplosione di una stella, prodromo della formazione di un nuovo sole, nuovi pianeti, quindi nuove albe e nuovi tramonti, nuovi vulcani, nuovi laghi e mari e fiumi.
La scoperta dei due astronomi, nel 1960, trovò un mondo impreparato a questa considerazione e probabilmente lo è ancora oggi, perché incapace, preso com’è dalle sue dinamiche, dalle sue illusioni, a comprenderne il senso profondo, immanente, universale.
La vita nell’universo trabocca.
In ogni anfratto, persino nello spazio vuoto, nel freddo più totale, nel buio, in un’esplosione inimmaginabile, nel caos apparente più assoluto. E proprio laddove tutto sembra caos, a saper guardare, potremmo trovare un messaggio molto chiaro, inequivocabile, la stessa voce di Dio, se siete credenti, sospirare nel silenzio cosmico attraverso l’anelito vitale che nel Tutto si espande.
Gli ingredienti della vita sono presenti ovunque, in ogni dove e in ogni dove sono capaci di nascere, crescere, svilupparsi. Così com’è successo sul nostro piccolo, meraviglioso pianeta, quasi in una magia, per noi così incomprensibile, in realtà così chiara, cristallina.
Hoyle e Wickramasinghe nel 1960 lessero quel messaggio, iscritto negli anfratti del cosmo, impresso a caratteri cubitali tra le stelle, miracoloso eppur così semplice da comprendere. Il messaggio della vita che ci diceva, che ci dice ogni istante: “Io sono qui, ovunque volgiate lo sguardo, alzate la testa, osservate il cielo sopra di voi e potrete scorgermi. Mi ritroverete nella luce tremolante di una stella, nel buio apparente tra stella e stella, nella terra che avete sotto i piedi, del tutto simile a quella lassù, nelle rocce, nell’aria, nel vento, nell’acqua, nel sale, al caldo o al freddo. Io sono qui! E voi siete me ed io sono voi. E tutto quello che vedete è vita e non c’è distinzione, non esiste divisione, separazione. Ascoltate la mia voce possente… che non è altro che la vostra”.
La Vita è onnipresente, presente in ogni cosa, in ogni momento, e in ogni luogo.
Non vi ricorda qualcosa?
La storia di cui due quasi sconosciuti scienziati, più di 40 anni fa, ci misero a parte, ci raccontava proprio questo.
E se per qualcuno può dar conforto, ce lo dimostrava scientificamente.
La materia di cui è composto l’universo, quindi anche noi stessi e tutti gli esseri conosciuti e sconosciuti che popolano questo nostro mondo, pullula di vita. E’ espressione e manifestazione, concretizzazione e messaggio di quell’Unico, Indivisibile, Eterno. L’Uno che è il Tutto. Ed il Tutto che è in Uno.
La Vita.
Nel 1960, due uomini, in un laboratorio, cominciarono a raccontarci questa storia.
Ancora oggi, nessuno l’ha voluta realmente ascoltare.
Fonte: http://francescosalistrari.blogspot.it/
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