Attenzioni nell’Uso della TV

max5555resdefaultI mass media, ed in particolare la TV, hanno cambiato drasticamente le abitudini, l’organizzazione del tempo, le modalità educative e relazionali all’interno delle famiglie dei paesi industrializzati.

A differenza di un tempo, in cui il divertimento diventava un evento sociale e comunitario, attraverso le feste religiose e civili e gli spettacoli collettivi, comunicando sempre agli spettatori un messaggio morale come modello degno di imitazione, nella società attuale il tempo di ricreazione e svago si è trasformato in un fenomeno privato, nell’ascolto e nella visione individuali, percezioni caratterizzate da distacco e indifferenza, anche se ricevute accanto ad altre persone, poiché non sono vissute in comunione con gli altri. La visione continua di programmi televisivi in cui le scene si susseguono incessantemente, accavallandosi, in cui si assiste ad un mutare travolgente di immagini, viene rielaborata ed interiorizzata dall’individuo fin da bambino, influenzando le sue modalità comunicative. I bambini odierni sono contenitori pieni di informazioni e dati. Di conseguenza, si presentano bisognosi di ordine ed orientamento. Sul piano psicologico si determinano dei cambiamenti. Il bambino, usufruendo dello strumento televisivo, senza una discriminazione adeguata dei programmi, si trova in balia di esso,con conseguenze sul piano relazionale dovute alla passività davanti allo schermo e a una ridotta capacità interagente, propria di un rapporto vivo di socializzazione. Molti sono stati i dibattiti e i contributi,da parte di studiosi, istituzioni governative, chiesa cattolica ecc., riguardo gli effetti negativi e positivi del mezzo televisivo soprattutto in relazione all’uso indiscriminato,a volte inconsapevole, che ne fanno i più piccoli.


CARATTERISTICHE SOCIALI DEL MESSAGGIO TELEVISIVO

Le caratteristiche di suggestione, di immediatezza e di pervasività del messaggio televisivo probabilmente dipendono sia dalle sue caratteristiche tecniche, flusso continuo di immagini e di suoni,sia dai meccanismi economico-sociali che lo hanno messo in atto.


La tv attuale è prevalentemente finanziata con la pubblicità. Per procurarsi un pubblico la tv deve essere accattivante ed emozionante e non deve richiedere un particolare sforzo di attenzione. Per procurarsi e insieme per formare un pubblico adatto alla ricezione dei messaggi pubblicitari,sembra logico pensare che i programmi-contenitore della tv debbano condividere con la pubblicità la propensione al consumo e la fiducia nell’impresa privata moderne, che produce merci industriali di massa. La società attuale può essere definita società dello spettacolo, e in essa ci sarebbe una tendenziale disgregazione delle comunità di discussione popolare a favore della dimensione della folla solitaria e un indebolimento progressivo dell’influenza degli “intellettuali di massa”, la cui autorevolezza è minata dalla onniscienza del mezzo televisivo.

 


 La tv cercherebbe invece di produrre una dimensione pseudocomunitaria,” minando” la comunità umana: applausi e risate registrate, trasmissioni in diretta che imitano riunioni comunitarie, addirittura creazioni di comunità artificiali che esistono solo in funzione della tv (come nel caso del Grande Fratello). Inoltre le mode e gli eventi televisivi oggi pervadono lo spazio della chiacchiera privata; la gente parla molto spesso di quanto si dice e si fa in tv: il medium occupa la realtà. E’ stata la pubblicità a spingere l’individuo all’acquisto e a persuaderlo dell’importanza nella sua vita, del possesso di beni, di consumo o di lusso. All’inizio la pubblicità tese prevalentemente a dare maggiori informazioni al consumatore sull’esistenza di un dato prodotto e sulle sue qualità. Con il passare degli anni, gli spot pubblicitari, soprattutto quelli televisivi, mirarono, più che a informare, a persuadere i potenziali acquirenti della necessità di comprare solo quel determinato prodotto. La scelta attenta del contesto, delle situazioni e dei protagonisti della piccola storia narrata costituisce ancora oggi il punto di forza del messaggio pubblicitario. Il consumatore, rapito dalle immagini dello spot, si sente partecipe dell’ambiente e delle situazioni ricreate, descritte o suggerite: acquistando quel determinato prodotto, diventerà protagonista della breve favola narrata sullo schermo. Così il messaggio pubblicitario ha lo scopo esplicito di propagandare un certo particolare prodotto, ma normalmente dovrebbe anche essere coerente con lo scopo generale implicito di ottenere la disponibilità delle masse al consumo. Il messaggio complessivo, il palinsesto, dei media che vivono di pubblicità deve cercare di essere conforme all’idea del consumo di prodotti commerciali ad alta tecnologia come soluzione dei problemi umani essenziali,e all’idea della competizione economica individualistica.Sembra infatti che la fiducia nella potenza della tecnologia e la volontà di esibire di fronte agli altri il consumo di un prodotto di qualità siano fattori che spingono a preferire il prodotto di marca al prodotto anonimo. Il sistema dei media contiene di fatto ampie informazioni sul degrado ambientale causato dallo sviluppo industriale e sulle condizioni disperate di una parte del Sud del mondo del mondo.Data la scarsa considerazione della classe di maggioranza per questi problemi ,ci si può chiedere dunque se il messaggio complessivo della tv (che sembra soprattutto comunicare fiducia nell’alta tecnologia,che produce le merci da reclamizzare) non abbia come risultato la sottovalutazione dei limiti e delle contraddizioni dello sviluppo.

MESSAGGIO-IMMAGINE

Nella società postindustriale, al processo formativo delle giovani generazioni contribuisce sempre più la ricezione televisiva,flusso continuo di immagini accompagnato di solito anche dalla musica, rispetto all’apprendimento scritto. Il flusso del video trascina il telespettatore e spesso coinvolge e subordina a se la parola dell’audio che lo accompagna e che, pur potendo fornire informazioni precise e argomentazioni razionali, spesso si presenta come messaggio suggestivo, come parte del fluire seducente delle immagini. L’apprendimento scritto, ormai garantito a tutti in occidente dall’insegnamento pubblico gratuito fino all’adolescenza, richiede invece al lettore un continuo di analisi e astrazione. La ricezione televisiva, con le sue immagini in movimento, fa lavorare soprattutto l’emisfero destro del cervello,che mette in gioco l’emotività ,l’apprendimento scolastico soprattutto l’emisfero sinistro, che mette in gioco le capacità analitiche e astrattive. Nonostante la relativamente bassa probabilità che hanno di cogliere i messaggi razionali trasmessi attrverso il medium televisivo, i riceventi spesso hanno l’impressione di essere “competenti” su tutto:l’immagine teletrasmessa è evidente, rende presente il mondo, non sembra richiedere alcuna interpretazione. Viceversa in un messaggio l’elemento più ricco di informazione è la parola. E’ la parola che decide quando un’ immagine o un suono registrato hanno un valore informativo o sono semplice fiction. In sostanza, se il medium televisivo e audiovisivo ha una straordinaria capacità di comunicazione emotiva ed estetica,ha molto meno capactà di informazione di quanto le immagini in diretta farebbero pensare. Esso ha straordinarie potenzialità informative per chi già conosce criticamente un argomento, attraverso i vecchi canali dell’apprendimento parlato e scritto, ma può suscitare un’indebita sensazione di onniscienza a chi si accosta ad esso solo per suo tramite. In prospettiva, almeno secondo alcune analisi pessimistiche,c’è il rischio che venga meno progressivamente la dimensione della saggezza (conoscenza dei propri limiti e affidamento parziale al parere dei competenti presenti nella propria comunità locale) e del principio di realtà (capacità di distinguere realtà, rappresentazione e finzione,capacità di fare autonomamenta esperienza e di conservare-tramandare memoria). Invece che alla competenza degli uomini in carne ed ossa ,presenti nel rapporto faccia a faccia,ci si affida alla competenza della tv. La massa dei riceventi , essenzialmente passiva, ha spesso l’impressione di partecipare alla vita sociale, grazie all’accesso ai media, alle trasmissioni e agli spettacoli interattivi. Ha anche l’impressione di essere adeguatamente informata,grazie alle notizie-immagine in tempo reale,e competente,grazie alla banalizzazione del messaggio o alla sua sostituzione con lo pseudomessaggio-immagine:al posto del dato statistico o della descrizione rigorosa delle circostanze, ci si accontenta spesso della zoomata su un dettaglio emotivamente stimolante, che ci dà l’impressione di “essere proprio lì”. Essi spesso hanno la sensazione di poter capire i massimi problemi della politica perché i loro rappresentanti si rivolgono direttamente a loro in tv con un linguaggio accessibile(di solito, proprio per questo, semplificando sostanzialmente i problemi). Tendono così a non rendersi conto di aver bisogno di ulteriori informazioni scirtte,o del confronto faccia a faccia con semi-competenti e competenti, per valutare criticamente il messaggio dei politici.

“La tv non ci rende né più stupidi, né più intelligenti. Però condiziona pesantemente la nostra vita” (Francesco Morace). Sempre più spesso si sente parlare degli “effetti della TV”. A volte viene criticata per le presunte conseguenze negative che ha sul pubblico, altre volta viene quasi mitizzata. C’è chi non ne potrebbe fare a meno e chi non possiede nemmeno un televisore. In ogni caso la televisione è un fenomeno di estensione quasi globale, che interessa un’amplissima fascia di età e che condiziona, in un modo o nell’altro, la vita di tutti noi. Almeno il 50% dei comportamenti quotidiani della gente è guidato dai programmi televisivi. E’ un tipo di persuasione che funziona in modo indiretto, e varia da persona a persona: ogni spettatore assimila un messaggio televisivo mescolandolo alla propria cultura e al proprio carattere.Un fattore comune però rimane: i telespettatori oggi usano le trasmissioni per esibirsi, incontrarsi o semplicemente per fare pettegolezzi, trasformando il video in una gigantesca festa paesana. Sono cioè diventati protagonisti. E’ la cosiddetta personalizzazione della tv, un fenomeno tipico di questi ultimi anni: gli spettatori hanno cominciato a considerare il piccolo schermo, e quello che vi accade, come un prolungamento della propria casa. “In effetti avere un rapporto di tipo personale con la televisione è positivo, perché aiuta l’individuo a non sentirsi massa. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: se il rapporto emotivo con i personaggi della tv diventa troppo stretto c’è il rischio di considerarli più vicini di chi abita nella casa accanto, deformando la percezione della realtà”, spiega Francesco Cassetti, docente di teoria e tecnica del cinema all’Università Cattolica di Milano. “Un’altra caratteristica negativa è il flusso ininterrotto di immagini, suoni e informazioni che, entrando in casa a tutte le ore, può dare la sensazione di vivere in stanze con le pareti di vetro, provocando ansia”. Al protagonismo del pubblico la tv risponde dando emozioni sempre più forti. Ecco perché le conduttrici si lanciano nel vuoto e gli illusionisti si fanno chiudere in bare o fingono di tentare il suicidio. E funziona: gli italiani rimangono incollati al video circa tre ore al giorno (contro una media di un’ora e quaranta minuti in Svezia e Finlandia). Secondo un rapporto dell’ONU, nel nostro Paese su mille abitanti ci sono ben 424 apparecchi televisivi, quasi tutti sintonizzati sulle sei reti nazionali.

POTERE DELLA TV
Il potere della tv dipende soprattutto dall’effetto realtà creato dalle telecamere: lo spettatore ha la sensazione che gli avvenimenti si svolgano sotto i suoi occhi. La realtà viene semplificata al massimo per poter essere colta da tutti. E’ per questo che alcuni studiosi accusano al televisione di danneggiare la capacità di percepire la realtà, ormai ridotta ad una serie di stereotipi e di personaggi estremamente semplici e privi di sfumatura, da imitare. Quello dei modelli è un pericolo generalizzato. La tv contemporanea non ha perso la vocazione pedagogica degli anni Cinquanta, l’ha semplicemente mascherata. Oggi “ammaestra” il suo pubblico in modo indiretto proponendo, attraverso conduttori e protagonisti, esempi di comportamento che si trasformano inevitabilmente in modelli sociali. La semplificazione della realtà data dalla televisione dà sicurezza e fornisce punti di riferimento cui aggrapparsi, tant’è che sono moltissime le persone che per farsi un’opinione guardano la tv. “Da qualche anno questo discorso vale anche per la politica. Per questo si discute tanto della influenza della tv sulle elezioni. L’influsso non può essere negato, ma dipende dal modo di fare televisione: non basta dare a tutti i partiti lo stesso tempo, per avere la cosiddetta par condicio. I 10 minuti di un leader che sa usare il video possono valere più delle 2 ore di un altro politico che non ha imparato a servirsene. Naturalmente lo spettatore non si accorge fino in fondo di cosa ha influenzato il suo voto”, aggiunge Morace. Il telespettatore però si difende meglio di quanto si credesse. Per esempio, adatta il proprio ascolto ai contenuti del programma. C’è perfino un ascolto di tipo strumentale, usato soprattutto per stare insieme. Alcune trasmissioni vengono guardate solo per essere commentate in negativo. Questo rafforza la coesione familiare, fornendo argomenti di discussione. Non solo i legami tra gli individui fanno da filtro alla televisione, ma è proprio in questo fare filtro che le famiglie si riconoscono come tali. Il filtro, in condizioni normali, funziona così bene da rendere inefficaci anche eventuali contenuti violenti delle trasmissioni. Da noi comunque il pubblico è ancora considerato un numero (il dato Auditel). Tant’è vero che anche la Rai punta soprattutto sugli spettacoli per far crescere gli indici di ascolto. Non importa poi se, come dimostrano gli studi, si tratta di un pubblico distratto, che passa la maggior parte del suo tempo a parlare dell’abbigliamento dei presentatori. I pubblicitari che finanziano l’Auditel, almeno per ora, non si interessano del grado di attenzione di chi guarda. La regola aurea della Tv commerciale è la seguente: “non dare al telespettatore nulla di più di quanto già non abbia nel suo bagaglio culturale; non dirgli nulla di più di quanto non sappia già. Tutto il resto è… letteratura” (cioè perdita secca di milioni di telespettatori). Questo è il motivo strutturale che impone alle televisioni commerciali di selezionare i programmi sulla base della loro “digeribilità”. Devono comporsi di sostanze semplici, facilmente metabolizzabili che puntino su emozioni elementari, luoghi comuni, mode e cliché della banalità quotidiana: soap opera sdolcinate, talk show che sono fiere dell’ovvietà, spettacoli di varietà che fanno rimpiangere l’avanspettacolo.Da questo punto di vista, non vi può essere alcun limite legislativo che argini questo fenomeno di progressivo inebetimento dei telespettatori cui viene imposta una regressione all’infanzia, con l’obbligo di restarci. La qualità coincide con la quantità, cioè la merce migliore è, tout court, quella più venduta. Avendo le televisioni commerciali come obiettivo strategico fondamentale il conseguimento del più alto indice d’ascolto, è inevitabile che la qualità e il valore dei contenuti siano penalizzati. Quindi, la qualità scadente dei programmi televisivi non è imputabile agli autori, ma piuttosto alla finalità dell’emittente.

Quindi, più che trasmettere programmi di cultura (arte, letteratura, musica ecc.) in prima serata, bisogna mettere più cultura nei programmi, soprattutto in quelli di grande ascolto.
Il che vuol dire: più intelligenza, buon gusto, ironia e soprattutto una rappresentazione fedele – e non puramente spettacolare – della realtà sociale e delle sue dinamiche. Questa rivendicazione è essenziale, strategica ed è l’unica che può realmente consentire un ribaltamento di posizione simile a quello che si è verificato con i telegiornali. In questo senso la televisione dev’essere considerata, piuttosto che un mezzo istruttivo, che si sostituisce ad altri media e ad altre istituzioni, un mezzo integrativo, propedeutico, introduttivo alla conoscenza delle arti e delle diverse discipline. In primo luogo, sarebbe opportuno rovesciare la tesi secondo la quale bisogna rendere più appetibili e comprensibili i programmi culturali (spesso questo vuol dire soltanto renderli banali e di cattivo gusto) e affermare, piuttosto, che i programmi ordinari della Tv, quale che sia il loro “genere” dovrebbero diventare più culturali – cioè più intelligenti, arguti e stimolanti, in altre parole, più “educativi”. Non bisogna insomma aggiungere quelle spezie di cui parlava Popper,cioè violenza, sesso e sensazionalismo per rendere appetibili i programmi televisivi,poiché il fatto è che più si impiega questo genere di spezie piu si educa la gente a richiederne.E dal momento che questo tipo di intervento è il più facile a capirsi da parte dei produttori e quello che produce una più facile reazione da parte dell’audience ,si determina una situazione per cui si smette di pensare a interventi più difficili.

CONCLUSIONI
Volevo concludere il discorso riallacciandomi al discorso di Condry, tirando in causa un importante sociologo dei mass media Neil Postman. Egli sosteneva che l’ infanzia sta scomparendo,ormai i bambini diventano subito grazie alla televisione arrivano a conoscere tutto troppo in fretta. Fino a oggi la crescita avveniva attraverso la progressiva scoperta dei “segreti della vita”, che gli adulti rivelavano gradualmente in forme ritenute appropriate a una corretta psicologia infantile. Ora questo non è più possibile: tutti, anche i bambini, conoscono subito tutto. Alle nuove tecnologie, perchè possano contribuire a un’educazione formativa, bisogna accostarsi in modo critico. La soluzione deve trovarsi in come guardiamo la televisione. La risposta da disperati è di collegarsi all’unico mezzo di comunicazione di massa capace, in teoria, di affrontare il problema: la scuola. Nel nostro come negli altri Paesi, gli insegnanti si dimostrano sempre più sensibili ai mass media e consapevoli degli effetti che la tv esercita in particolare sui giovani.

“Nessun mezzo – scrive ancora Postman – è pericoloso se gli utenti ne conoscono i pericoli”. E questo può valere, naturalmente, anche per il computer e per Internet. Bisogna affidarsi allora alla funzione educatrice della scuola, nella speranza che la televisione non cancelli del tutto la cultura, la voglia di pensare, di discutere e di dialogare. Ma rimettiamoci anche all’interattività della Rete che, almeno da questo punto di vista, è certamente superiore perché stimola la partecipazione e il confronto. Suggerisce infine di introdurre nell’insegnamento il concetto di educazione “alla tecnologia” prima di quello di un’educazione “con la tecnologia”.

Quindi, più che trasmettere programmi di cultura (arte, letteratura, musica ecc.) in prima serata, bisogna mettere più cultura nei programmi, soprattutto in quelli di grande ascolto.

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